L'è el dì di Mort, alegher!
Delio Tessa
L’è el dì di Mort, alegher!
Dichiarazione
La pobbia de cà Colonetta (I)
Sui scal (II)
El cavall de bara (III)
Primavera (IV)
Caporetto 1917 (V)
El gatt del sur Pinin (VI)
La tosa del borgh (VII)
Cittàa
El bell maghetta (VIII)
La mort della Gussona (IX)
Nota
Indice dei titoli
Indice dei capoversi
L’è el dì di Mort, alegher!
L’è el dì di Mort, alegher!
Nove saggi lirici in dialetto milanese
con testo esplicativo in lingua
MUSOCCO
CAMPO 61 - FOSSA 800
PER
QUESTA TOMBA
Dichiarazione
Riconosco ed onoro un solo Maestro: il popolo che parla.
Squisitamente parla ancora un suo mutevole linguaggio sempre ricco, sempre vario, sempre nuovo come le nuvole del cielo. Non è morta la lingua milanese come nessun dialetto morrà. Creda pur taluno, sordo e cieco, che decadenza vi sia perché le vecchie forme, le usate espressioni piú non trova, ma decadenza non v'è.
In perfetta aderenza colla necessità contingente, la parlata del popolo è simile all’architettura; a nuova vita, nuovo stile; chi non comprende, chi si lamenta è un sorpassato.
Ho fatto - senza visibili frutti - del dialetto che parla il sobborgo uno studio paziente ed or qui del mio lavoro vorrei almeno alcuni punti fugacemente notare.
Fonetica.
Suprema legge! Tutto è musica nella sincera espressione popolaresca. All’esigenza, vorrei dire, all’intransigenza della fonetica di volta in volta tutto è sacrificato: grammatica, ortografia, metrica e vocabolario. Mi occorse di chiedere il significato e l’origine di alcune di quelle oscure parole a chi le usa e forse le inventa. Incertezza o silenzio. Mi son convinto cosí che alle fonti spesso basta un suono a rendere un’idea, tanto basta che i piú efficaci fra essi sono intuiti, se non compresi, dai piú.
Vocabolario.
Ho pochissima simpatia per questo libro. A chi scrive in lingua non pure, ma ai cultori di lettere dialettali sembrami il vocabolario un inciampo al cammino. Direi quasi che il vocabolario sta alla lingua come la codificazione al diritto, e l’uno e l’altra tendono a fermare ciò che è in perpetuo movimento.
Crea la gente parlando i suoi vocaboli di tempo in tempo.
Le piú belle, le piú efficaci parole rimangono, se ne vanno le altre. Il popolo non teme i neologismi; li ama, li cerca, li forma. Una lingua senza nuovi apporti è un organismo che vive di cellule morte.
Osservo pure che il dialetto desidera alcune volte parole non sue. Ricordo il Porta, il grandissimo Porta. Nel Marchionn che è la poesia ove la lengua del verzee piú genuinamente riluce, non si perita l’autore di usare il vocabolo «alba», parola italiana e non milanese. Si è perché il poeta, contro ogni remora puristica, voleva in quel punto una tinta chiara che solo la parola «alba» gli diede.
Ortografia.
Non è fissa, ma mobile. Arriva persino all’apparente assurdo di presentare la medesima parola scritta diversamente secondo la necessità del contesto.
Esempio: gh’hin: ci sono, la vedo scritta per solito con una sola n, ma nella frase gh’hinn minga la vedrei con due a dar forza alla negazione.
Lo stesso dicasi per gli accenti. Essi in alcuni casi hanno soltanto valore di notazione musicale.
Esempio: la particella «sú» è accentata in questa frase: «cascell sú». Non lo è in questa altra: «che intrattanta in su on lett».
Nel primo caso c’è un’accentuazione fonica che batte sul monosillabo «sú» ed è accentato; nel secondo per contro la voce cade sulla parola «lett» e l’accento scompare.
Grammatica.
Scrittor dialettale alle fonti rimango. Penso ai fanciulli che parlano. Che è mai la grammatica per essi? E pur, come parlano! Verranno le regole, poi, standardizzando gli eloqui, normali e piatti.
Bella la costruzione milanese latineggiante col verbo in fine! L’oggetto, ciò che subito interessa, apre la frase e il verbo è posto qua o là negli angoli morti o in fondo. Tutto sembra esser disposto in scala di valori, dal piú al meno importante.
Metrica.
Trovo un verso del «Purgatorio»: «Gloria in excelsis tutti Deo».
Perché questo endecasillabo sia veramente un endecasillabo le tre vocali i-a-i del «Gloria in» devono prendere una sillaba per ciascuna, il che, in vero, potrebbe sembrare un po’ troppo. Eppure la grandiosità del canto è tutta lí, è in quello scoppio del «Gloria», è nella declamazione larga di quelle tre parole. Non mi spaventa dunque un ottonario che zoppica su sette piedi...
...e le tira... e le tira...
la Morte trascina la sua vittima cosí, e il verso pure va strascicato come l’immagine.
Assonanze o rime.
Il popolo nelle sue cantilene e le une e le altre musicalmente dispone. Ecco l’annuncio della primavera:
O sô o sô ve’ fora
con la campana d’ora
col campanin d’argent...
... sô... sô... fà bell temp!...
Nei primi due versi, nell’immagine calda, nella rima esatta vedo la luce! negli altri due, nell’assonanza vaga, alita la brezza primaverile.
... comme un vent frais dans un ciel clair...
... Baudelaire!...
Parole ripetute.
Come la gente parlando ripete e insiste nella parola che assomma il concetto! M’è sembrata questa una delle piú spiccate caratteristiche del discorrer popolare.
C’è un leit-motiv nel periodo che sempre ritorna, c’è un chiodo che si vuol mandar sempre piú addentro!
Confesso, ma non pentito, mi preparo all’anatema della comunione sacrilega.
DELIO TESSA
Febbraio ’32.
La cosa piú interessante, nella vita, è la morte.
TURGENEV
Indice dei titoli
A Carlo Porta (XXVII)
Anno VIII (XXIX)
A tavola (XX)
Avvocatt - 1936 (XXXVII)
Canzon de Natal (XXXVIII)
Caporetto 1917 (V)
Carnevalin (XXIII) Ciana (XXXVI)
Dedica del «Carnevalin» (XXIV)
De là del mur (XI)
El bell maghetta (VIII)
El cavall de bara (III)
El gatt del sur Pinin (VI)
El popò indorment (XXI)
El popò malaa (XXII)
Finester (XXXIV)
Grimett al sô (XVI)
I cà (XV)
I deslipp di Càmol (X)
In bottega (XIX)
In strada (XVIII)
Interno di chiesa (XXXIII)
I pissatoj vecc de Milan (XXVI)
I tre grint (XXXI)
La giornada de me zio pescaù de Lacciarella (XXXV)
La mort della Gussona (IX)
La pobbia de cà Colonetta (I)
La poesia della Olga (XII)
L'asen (XXV)
La tosa del borgh (VII)
Navili (XXX)
On mort in pee (XIII)
Primavera (IV)
Pupin sul trii (XIV)
Ripp Witt Elk (XXVIII)
Sui scal (II)
Tiremm innanz (XVII)
Tosann in amor (XXXII)
Indice dei capoversi
Al primm vedett, inscì (IX)
Andà a torna per Milan (III)
Bice sent mi voo alla fera (XXIII)
... Campsant: pupin (XIV)
Cippa i cipp: e come ier (XXXV)
Contra i melanconij, contra i magon (XXVII)
Cossa me importa de savè in doe voo (XVII)
Cossa v'hoo ditt? te chì... giò tutt el vin (XX)
De quell nagott che foo, de quell'eterno (XII)
Ei! ma sì! per fatt piasè (II)
Esuss quella trombetta! Nanca pu (XXX)
FINESTER ... dalla sferla (XXXIV)
Foeura de porta Volta (XI)
I moros quajcossolina (XXXII)
... in qui casoni (XV)
In st'ann bisest de rella (XXXVII)
... la mamma (XXXIII)
La ved che finalment l'hoo contentada?! (XXIV)
L'è creppada la pobbia de cà (I)
Luis... a paravia (VII)
Mi so no perchè la gent (XXV)
Oh che bella giornada! (IV)
Pensa ed opra, varda e scolta (VI)
Pioeuv? No, pioeuv no, l'è el vent (XXXVI)
Pissatoj di temp andaa (XXVI)
Pover Càmol! da on quaj ann (X)
Ripp Witt Elk, prinzep Tavana (XXVIII)
Roston, Lily (VIII)
Se te passet de Inverun (XIII)
Socialista, democratich (XXXI)
Su che ghe semm, dessedet (XXI)
Te fa mal ancamò? (XXII)
Te vedi e me ven voeuja de trà su (XXIX)
Tira... tira... Gaitan (XXXVIII)
... titirlecch... titirlecch... (XVI)
Torni de vial Certosa (V)
Van a scola i duu popò (XVIII)
Vialter speccem chì (XIX)