and prosperous countrysides»,[31] l’alpigiana conquistava nuovi «spazi», prerequisito per il suo futuro migratorio.
I cambiamenti dei percorsi migratori nei secoli, lungo i quali si modificano le forme di divisione del lavoro, costituiscono altrettante linee di ricerca, in cui il passaggio da attività bracciantili e servili, o comunque poco specializzate tipiche dell’epoca moderna, ad attività sempre più dominate dall'industria e da un’agricoltura progredita, richiedenti quindi una certa qualificazione, inducono una positiva evoluzione economica e sociale dell’emigrante alpina. Una situazione che, nel suo evolversi, porterà ad una minore considerazione delle differenze biologiche nell’attività lavorativa, a favore dell’emancipazione e dell’affermazione del ruolo della donna nella società contemporanea, pur senza totalmente sovvertire il suo posto negli equilibri interni alla famiglia, che al paese d’origine rimarranno radicati nella tradizionale cultura alpina ed in emigrazione continueranno ad essere un sicuro elemento identificativo.
I limiti alle possibilità migratorie femminili sono puramente convenzionali, il loro «spazio del possibile» è delimitato solo dalla volontà maschile e dalle consuetudini che la sorreggono. L’emigrante alpina per molti aspetti è una figura indistinta nel più vasto universo della mobilità femminile, che esce lentamente dal cono d’ombra in cui l’ha relegata l’uomo ed una cultura forse più retriva che altrove, che rimarrà comunque la compagna di vita e di strada che deve restare sempre un passo indietro, perchè quello è il posto che la società le ha assegnato. Se si accetta questa interpretazione si può anche comprendere come l’attività lavorativa delle donne - al di fuori dell’ambito domestico - sia sempre subordinata e conflittuale rispetto al ruolo tradizionale, anche quando la loro valenza economica è stata acquisita come indispensabile per la famiglia.
Note
1 II titolo e l’ipotesi del mio lavoro erano inizialmente mirati ad una più vasta ricerca, ma i limiti di stampa imposti agli Atti del Convegno mi hanno costretta ad una forzata sintesi - territoriale e documentaria -, mi scuso per quanto non sono riuscita a concettualizzare adeguatamente.
2 Emblematica in proposito è la corrente migratoria femminile studiata da Daniella Todesco, «La vita delle ciòcie in Trentino e l’Ufficio del Lavoro del Comune di Trento», in: Daniella Todesco, Desy Berloffa, Paola De Benedet, Lucia Fontana, Ciòcie e ciòdeti, un’emigrazione stagionale di donne e ragazzi dal bellunese al Trentino, Feltre (Belluno) 1995, pp. 9-60.