Page:Labi 1998.djvu/43

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propensione migratoria della donna diventa tanto più concreta quanto più essa acquista un ruolo di preminenza nella famiglia e nella comunità, rispetto ad un uomo che sempre più spesso rimpiazza anche nei lavori maggiormente gravosi, e, ciò che è più significativo, inizia a sostituirlo anche socialmente durante le sue assenze, lasciando intravedere l’inizio di un’emancipazione basata sulla sua capacità di gestire l’economia familiare in assenza del capo famiglia. È la corrente migratoria maschile, perciò, che fa valorizzare il potenziale femminile, portando al superamento dello stereotipo dell’inferiorità fisica e sociale della donna, nel paese d’origine prima e in emigrazione poi. La tradizionale inferiorità fisica e sociale femminile, e quindi la subalternità che ciò induceva, diviene un elemento secondario rispetto all’importanza del contributo economico che essa può dare lavorando fuori dalla famiglia.[29]

La divisione sessuale del lavoro deriva, pertanto, dal ruolo sociale e dall'immagine della donna nella comunità, dalla sua formazione: in ultima analisi dai condizionamenti culturali impliciti nei concetti di «genere sessuale» e «razionalità economica». Le tipologie di divisione sessuale del lavoro divengono un mezzo fondamentale per spiegare la rilevanza del contributo femminile allo sviluppo socio-economico del paese d’origine, che altre modalità di analisi non rilevano o, come si è accennato, potevano erroneamente negare. Lo studio dei ruoli sessuali e dell’attribuzione delle mansioni lavorative è un soggetto che suscita molto interesse tra gli scienziati sociali, ma che è stato trattato con disattenzione quasi sistematica nelle ricerche sull’emigrazione, anche se l’ampio panorama delle attività svolte dalle donne delle Alpi costituisce un terreno d’indagine privilegiato per comprendere questo fenomeno, che si evidenzia attraverso le diverse fasi dei mutamenti economico-sociali.

I prodromi della nuova era migratoria, che avevano iniziato a delinearsi in Europa tra metà Settecento ed i primi decenni dell’Ottocento,[30] avevano avviato anche nell’arco alpino l’epoca delle assenze maschili prolungate, che per l’alpigiana si concretizzarono con un mutamento del suo status nella famiglia e nella comunità: la mobilità sociale diventava una componente essenziale del paradigma della modernizzazione anche nelle Alpi, a cui la donna contribuiva con il fattivo lavoro nelle tradizionali attività maschili. In comunità popolate soprattutto da anziani e bambini, perché la «population pressure forced increasing numbers of long-distance migrants to leave mountainous regions and find temporary work in provincial cities

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GRANDI: EMIGRAZIONE ALPINA AL FEMMINILE