Page:Labi 1998.djvu/42

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sua naturale propensione. La verifica in termini quantitativi e qualitativi del lavoro delle donne delle classi inferiori - indipendentemente dalle differenze regionali - ha dimostrato invece che esse lavoravano più a lungo degli uomini e che raramente erano esentate dalle incombenze più faticose;[26] è appena il caso di ricordare che ovunque la tradizione tendeva, e tende, a sottovalutare il contributo della componente femminile allo sviluppo economico, relegandola ad un ruolo di subalternità rispetto a quello maschile, a conferma della più generale teoria della gerarchia dei sessi. Probabilmente a ciò non è estranea la difficoltà di definire e valutare il lavoro femminile, che non si può fare avendo come unico riferimento la monetarizzazione, perché parte di esso non è «visibile», o più precisamente circoscrivibile ad un’attività che produce reddito, quali sono ad esempio i servizi che fornisce la lavoratrice-casalinga, l’aiuto dato in agricoltura o nel lavoro a domicilio come coadiutrice dell’uomo. E chi studia l’emigrazione non é esente da questa distorsione. Il risvolto economico della sottovalutazione del lavoro femminile è particolarmente evidente nel passaggio dalla ruralità alpina all’ambiente urbano; le montanare erano donne che da sempre svolgevano un’attività produttiva, ma questo sembrava - erroneamente - che rallentasse lo sviluppo economico e indebolisse il loro status nel paese d’origine. Non si considerava il valore reale di un lavoro praticato in un contesto ambientale deliberatamente abbandonato dal maschio in età attiva perché poco remunerativo.

L’alpigiana rivelava tutto il suo potenziale lavorativo in emigrazione, lontana dalla subordinazione all’ambiente familiare, una situazione che, diversamente, avrebbe provocato conflitto tra i sessi; la sostanziale staticità dei rapporti nella società alpina tradizionale riusciva a controllare sul nascere la conflittualità, imbrigliandola in forme rituali, ma ciò non era possibile altrove, dove la diversa organizzazione del «tempo di vita» e la diversa divisione sessuale del lavoro producevano anche un «tempo familiare» con ritmi nuovi, non ultimo negli eventi demografici.[27] Il «tempo» della donna è sempre stato giudicato flessibile, per la sua comunque disponibilità, cosa che le aumentava il carico di lavoro, sostituendo o integrando l’opera dell’uomo in famiglia, un concetto che permarrà anche in emigrazione, facendone un cardine del suo asservimento coercitivo al mercato del lavoro.[28]

L’approccio alla migrazione femminile delle Alpi che verte sulla distinzione delle relazioni sociali tra uomini e donne, dovuta alle diverse accentuazioni che si danno nel tempo alle caratteristiche fisiologiche, evidenzia come la

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HISTOIRE DES ALPES - STORIA DELLE ALPI - GESCHICHTE DER ALPEN 1998/3