Page:Labi 1998.djvu/41

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più che in altre zone, è stata celata nelle fonti dall’ipocrisia di parole che volgevano le migrazioni esclusivamente al maschile ed in cui essa, se appariva, era solo come appendice dell’uomo, padre o marito che fosse. A complicare ulteriormente questo campo di analisi a fine Ottocento, quando l’emigrazione femminile in generale - e quella alpina in modo specifico - assumono precise connotazioni di flussi autonomi, si afferma l’idea di una ragione scientifica nella differenza biologica tra i sessi per limitare all’ambiente domestico lo spazio vitale della donna, perché naturalmente dotata e vocata alla riproduzione: «Quando andiamo a cercare le ragioni che sono state date, di volta in volta, per internare le donne, per restringerne l’accesso alla vita pubblica o all’istruzione, non troviamo, come potevamo supporre, le ragioni di un potere patriarcale; troviamo invece, soprattutto, ragioni sanitarie, igieniche, biologiche.»[22] Si rileva pertanto con immediatezza l’importanza della storicità ed il carattere dinamico della divisione sessuale del lavoro, tanto più importante nelle varie fasi di mutamento economico e sociale che si sono succedute nei secoli. Le variabili che concorrono alla determinazione di questo processo sono molteplici, ma di particolare importanza per il fenomeno in esame ritengo siano quelle che interessano il tipo di organizzazione familiare, la posizione della donna nella stratificazione sociale, le peculiarità etniche ed i legami di parentela che conformano la società d’origine.[23] Louise Tilly e Joan Scott, nel loro famoso studio sull’evoluzione del lavoro femminile nella società capitalistica, scrissero che l’età di accesso al matrimonio, il numero dei figli, la dimensione del gruppo domestico e «il valore dei bambini per la famiglia» sono tutti elementi che incidono sulla vita lavorativa della donna; pertanto, la storia del lavoro femminile (ed a maggior ragione se in emigrazione) deve essere inscindibilmente collegata alla storia della famiglia.[24]

Esiste una stretta e complessa correlazione tra la famiglia intesa come unità di residenza e riproduzione e la famiglia intesa come struttura organizzativa dei processi di produzione e consumo, inoltre nel caso dell’emigrante alpina vanno vagliati con particolare attenzione i rapporti all’interno del nucleo familiare ed i legami con il più vasto cerchio della parentela, relazioni primarie qualificate in senso affettivo, «particolaristiche e regolate da prescrizioni».[25] È una ricerca di non facile realizzazione per lo storico, perché le testimonianze in materia sono decisamente carenti, e quelle reperite spesso offuscate: la donna è invisibile perché è considerata inattiva, al punto da far sembrare che tale stato sia considerato il soddisfacimento di una

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GRANDI: EMIGRAZIONE ALPINA AL FEMMINILE