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che nel tempo e nello spazio avevano distinto l’uomo e la donna nel destino migratorio.[11]

L’emigrazione femminile alpina, che ininterrottamente si snoda nei secoli e continua ancor oggi, è una vicenda articolata, che si intreccia in tempi e luoghi differenti, ma che si basa tuttora, in buona parte, sempre sugli stessi elementi. «Da un punto di vista fenomenologico, i movimenti migratori, sia per le loro intrinseche qualità che per i risultati che producono, presentano un notevole grado di complessità e richiedono pertanto di venir considerati da un punto di vista pluridimensionale. Questo perché hanno rilievo di fenomeni sociali <totali>, nel senso che presentano una loro dimensione economica, sociale (in senso strutturale, istituzionale e organizzativo) e, inoltre, una dimensione politica, religiosa, motivazionale biologica (rispetto alla popolazione) e culturale.»[12] Ed è stata questa complessità che mi ha sostenuta nel tentativo - non facile - di esaminare il mio soggetto senza porre le rigide scansioni temporali dei documenti studiati che, dati i limiti imposti, avrebbero frammentato la fluidità dell’esposizione.

Se per l’emigrante alpina il confine politico era ininfluente, ben altri ostacoli non meno ardui, però, si anteponevano ad essa in passato: quelli di una mentalità più rigida che altrove, prodotta dall’implosione che derivava, oggettivamente, dalla problematica morfologia del territorio che ne ostacolava le interazioni, in un ambiente che per lo più era anche periferico; la montanara arrivava comunque al loro superamento, ma con modalità e tempi diversi rispetto all’uomo. Inoltre, mi è sembrato di cogliere una sorta di similarità nella complessità del mondo femminile e del mondo alpino, tale da rendere la donna capace di adeguarsi, di comprendere la montagna meglio dell’uomo nelle sue possibili realizzazioni economiche e sociali più recondite, come è stato dimostrato nei periodi del massimo flusso migratorio maschile, quando le Alpi sono state «gestite» dalle donne.

L’ipotesi interpretativa delle oggettive diversità biologiche tra uomo e donna in relazione al loro potenziale lavorativo, in particolare alla capacità - o meglio alla possibilità - che aveva la donna alpina di esprimerlo, è emersa in questa fase storica. E ciò mi induce a sottolineare che l’indiscutibile differenza fisiologica tra i due sessi non è interpretabile sulla base di una categoria univoca, perché essa va filtrata attraverso la cultura di appartenenza, i condizionamenti sociali e, per l’emigrante, anche comparando gli schemi culturali dei paesi d’origine e di destinazione. Infatti, come chiaramente evidenziano Rosaldo e Lamphere analizzando il «secondo sesso», dipende

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HISTOIRE DES ALPES - STORIA DELLE ALPI - GESCHICHTE DER ALPEN 1998/3