Jump to content

Ore di città/38

From Wikisource
193919Ore di città/381988Delio Tessa

La canzone delle quattro stagioni

[edit]

Quando la vecchia e rinomata sartoria passò in liquidazione lasciò gli ampi saloni di piazza del Duomo per il mio piccolo studio.

Mandò avanti un triste carico di mastri, di copialettere, di libri giornali. Poi venne il cuore e il fiore della ditta.

Il cuore era chiuso in un pacco. Grosso, legato con della corda da tenda, conteneva la carta da lettere intestata, le buste, i timbri, i bollettari, la piccola cassa e una salvietta. Nel mezzo... tic-tac, tic-tac, tic-tac, batteva un pendolino da cinque lire...

Dopo il pacco che il fattorino depose in anticamera - ed era (mi ricordo) una sera tarda di novembre che la lampadina accesa fuori illuminava a pena i grossi rami di qualche pianta e il resto era tenebra, tenebra gocciolante di pioggia - dopo il pacco, venne il fiore, il fiore della Martinenghi.

La piccola Ines apparve e subito non seppe dove metter l'ombrello. Una volta - è vero - avevo in quest'angolo un portaombrelli in ceramica ma un cliente sedendovici sopra lo ruppe e cadde giù in mezzo ai cocci: «Di là, signorina, la metta di là in corridoio».

Non ho mai visto un corridoio più freddo, più buio, più squallido del nostro. Lo chiamiamo el colombari. La povera Ines se ne ritrasse sgomenta.

Disfò il pacco, piegò in quattro la carta, dispose in bell'ordine sulla scrivania i timbri, le buste, i bollettari, la piccola cassa e infine rimase lì colla salvietta in mano...

«Se crede può portarla di là in gabinetto, in fondo al corridoio». Ancora di là? fu la muta domanda.

Ci andò nondimeno (una porta a vetri... un andito alto... uno sgabuzzino basso e cieco e infine un brutto posto che guarda su un cortiletto...) ma di ritorno la Ines era triste, tanto triste... quasi stava per piangere. Non credo che Pinetto di Quand'ero scolaro trovandosi in città per gli studi dopo la fanciullezza trascorsa in campagna colla nonna e colla Stasia fosse più sconsolato di lei... ed ecco in quel punto il campanaro di Santa Eufemia attaccarsi alle sue funi per l'Avemaria e... «pensaci - dicevano le campane - un altra giornata è finita... pensaci!»

«Si potrebbe - mi chiese dubitosa - si potrebbe fare una telefonata?»
«E perché no!»
«... ma... privata...»

«Ma sì, privata... anche quella...» La Ines fece un numero.

«Sei tu?...» ... «Ciao Carlo...» ... parlava piano, dentro al microfono, coll'illusione di non essere sentita.

«C'è gente?...» ... «puoi parlare?» ... «sono qui, sì, da un'ora...» «...così... così... e tu? mi hai pensato?...» ... «Dimmi una parolina...» ... «Ora no, non posso... dopo... dopo» ... «Ciao micio!» Il carbonaio che fa andare il nostro calorifero si ripaga del poco che gli diamo tenendoci al freddo ma allora mi parve che un dolce tepore si spandesse e che le lampadine della plafoniera rompessero le ragnatele non mai raggiunte dalla scopa e s'irradiassero di più vivida luce...

Nevica! Torniamo indietro negli anni. Nevica come quando la vecchia Ratta in Arabella era là lunga e dura sul suo letto di morte, colla testa chiusa nella più sgangherata delle sue cuffie e i vecchi piedi infilati nelle calze di filugello: «Basta... finirà anche questa!» diceva intanto il Berretta portinaio che la vegliava nell'altra stanza... Rossa e lieta la nostra Ines vien dentro col libro giornale della ditta. Si scuote la neve di dosso come i cagnolini le pulci. Torna dal ragioniere ove è stata per la verifica dei conti:

«Guardi, cosa ho comprato!»

Da un pacchetto ha tolto un feltrino e se lo mette e se lo prova mirandosi - in mancanza di specchi - nel vetro della stampa La Cassina di Pomm.

«Le piace? Sto bene?»
Trrrrrrrrr... telefono!
Vado io:

«C'è la signorina?»

«C'è e viene subito»... Ines!

Amare o avere amato ciò basta; che puoi chieder di più alla vita? La canzone riprende:

«Ciao Carlo... c'è gente?... mi hai pensato?... dimmi una parolina... ciao Carlo».

Oggi - vedete - con questo sole marzolino son prigioniero di otto versi. Li compose con altri otto trent'anni fa il mio amico Fortunato che lasciò da tempo la lirica per la pittura. Usciva allora dai freddi cortili del collegio San Francesco di Lodi a respirare e compose un piccolo inno alla primavera! Mi perseguitano le due strofette ovunque vado; per strada e qui al mio scrittoio mi si ficcano tra riga e riga di una comparsa: «Piaccia all'Eccellentissima Corte...» ... ma no!... ma no!...

...tu che alla vita i nidi
ridesti, o primavera
vieni, anche a me sorridi
all'anima che spera,
all'anima che muore
in questi nuovi giorni
o primavera in fiore,
primavera che torni!»

Anche alla piccola Ines s'è ridestata la speranza del nido e in attesa di quel dì - prossimo ormai - ha comperato i piatti per la sua casa futura. Le marmitte, le alzate, i tondi e ne telefona urgentemente al suo Carlo: «Ciao micio... sei solo?... puoi parlare?... ho fatto spesa, sai?!... un'occasione...» Al ventolino di marzo un uccelletto strano che fa la sua comparsa all'aprirsi e al chiudersi delle stagioni lancia il suo piccolo grido: «fitt... fitt... fitt...» e mi ricorda l'affitto e la padrona di casa... In un pomeriggio d'agosto voci e passi che s'avvicinano mi destano dal mio torpore. Entrano in un gruppo. La zia e la Ines l'una di qua e l'altra di là sostengono la mamma che s'abbandona, che piange. «Figlia mia... il cuore di tua madre che si spezza...» È morta la nonna. La povera signora si lascia andar giù su una sedia ma così abbracciata alla figliola è troppo bassa...

«Aspetti... aspetti... un cuscino... dov'è?»
«Che dolore!... figlia mia!»

Come si può consolarla? È meglio tacere; ritirarsi. Dopo un po' la zia e la mamma salutano la Ines che resta sola e triste come in quel giorno di novembre che venne qui per la prima volta. Ⲟ Afa, silenzio... Come può sopportarli? Ha bisogno d'una parolina e chi gliela può dire se non il suo Carlo? «Ciao micio... sei solo?... mi hai pensato?...»

Le pause vuote del dialogo telefonico le punteggia il tic-tac, tic-tac, tic-tac del pendolino dell'accomandita in liquidazione...