Sua Eccellenza/Atto I

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Sua Eccellenza/Atto I
by Nino Martoglio

ATTO PRIMO[edit]

Studio del Principe, messo con fine gusto, che si appalesa maggiormente nei particolari, come a dire: nei quadretti di genere e nelle stampe di autore appesi alle pareti, nei soprammobili e in tutti quei nonnulla che popolano la scrivania di un vero signore, di modi e di bisogni raffinati. Mobilio di mogano e pelle marocchina granato chiuso, semplice, severo. Librerie e mensolette a sagome snelle e graziose, che continuano la decorazione degli stipiti, fasciati anch’essi di mogano. Qua e là, su qualche arazzo, su qualche cuscino abbandonato sull’ampio divano di pelle e per terra, sui tappeti di Persia, lo stemma dei Falcomarzano. Su molti oggetti di porcellana e d’argento la corona ducale: ma il tutto messo con disinvoltura, senza affastellamenti e senza ostentazione. I vetri delle librerie sono ricoperti, internamente, da tendine fisse, di seta granato scuro, e i pochi libri che si vedono sparsi sulle mensole e mensolette sono o in brochure o finemente rilegati in pergamena e oro. Finestra a davanzale, in fondo, che si apre sopra una grande terrazza lambita dal mare, con vista del pittoresco castello Normanno d’Aci e dai famosi scogli dei Ciclopi, cosiddetti Faraglioni. Uscio sulla sinistra dello spettatore ed altro, comune, sulla destra. La scrivania verso la ribalta, sotto all’uscio di sinistra. Il divano allo stesso livello, sotto alla comune – l’una guarda l’altro – non molto discosto. La scrivania del Principe è ampia, rettangolare. Al lato opposto, accostata alla parete, un po’ piú verso la ribalta di quel che non sia il divano, è un’altra scrivania assai piú piccola, ma dello stesso stile. Essa appartiene al segretario.

SCENA I
Il Principe, il Nobile Memmo Resta, il Nobile Matteo Strano, poi il Cameriere.
PRINCIPE
(in abito da camera elegantissimo, già pettinato e acconciata la barbetta biondo-grigia, siede dietro la scrivania, con le spalle alla parete di sinistra, ascoltando Memmo).
MATTEO
(seduto su un angolo del divano, compassato, tutto sussiego, ascolta egli pure e si fa sempre piú scuro in volto).
MEMMO
(parlando si agita, si alza e risiede tutti i momenti, fissa in volto ora il Principe, ora l’amico, per vedere che effetto fa il suo dire. Egli continua il discorso incominciato)…
Insomma era divintatu un Peppi Nnappa qualunchi! Capirà, principi, ’na cosa che mi seccava assai… Pirchí va beni ca semu cugini in terzo grado, ma porta il mio stesso nome…
PRINCIPE
(interrompendolo ed invitandolo ad abbreviare, col gesto e con la voce) Capisco, capisco…
MEMMO
L’autru ajeri l’affirrai p’un vrazzu e ci dissi, senza complimenti: senti, caru cucinu, rifiutarti di scendere sul terreno ccu Gregorio Sarpa poteva anche essere giudicatu atto di coerenza e di coraggio, ma quannu? Quannu tu, in seguitu, t’avissi dimustratu omu di dignità e di curaggiu ccu l’autri! Dicu giustu, onorevuli? Inveci – dicu – tu, da un annu a ’sta parti, ti fai abbuffiniari e pistari di tutti senza un solo atto di ribellione, in modo da fari pinsari ca ccu Sarpa non hai voluto batterti non perché non lo stimi degno, ma pirchí ti scanti!
MATTEO
Ed era, infatti, l’opinioni diffusa tra tutti l’amici d’ ’u Club…
PRINCIPE
(c. c.) Avanti, avanti, prego…
MEMMO
Accussí – ci dissi – non pò durari, pirchí ju non permettu!... Nel casato dei Resta non ci ha statu mai un vigliaccu… Avemu fattu duelli ppi cosi di…
PRINCIPE
(c. s.) E lui?
MEMMO
E lui mi domanda: Chi divu fari? – O cangiari residenza, ci rispusi, o pigghiari un pretestu qualunchi ppi fari un duellu con qualcuno dei gentiluomini piú in vista e chiú spataccini… (si ferma attendendo il parere del Principe, ma siccome questi tace, tace anch’egli).
PRINCIPE
E cosí?
MEMMO
Non approva? Lei di che parere è, onorevole?
PRINCIPE
Ma se non finisce di dire! Finora siamo lontani, dal fatto!
MEMMO
E chi fattu, eccellenza, ca chi ci ha statu fattu?... Cioè, c’è un fattu, ca è tutto al rovescio di quello che io speravo! Pirchí ’stu cucinu miu – in terzo grado, si Diu vòli – non è un… timido per modo di dire…
PRINCIPE
(sorride).
MEMMO
Già… è un cacaruni – scusi il termine. Lui avrebbe dovuto tirare ’na timpulata, che so io, fari un atto di energia ppi farisi sfidari…
PRINCIPE
Invece?
MATTEO
No, Memmu, scusa, qua sento il dovere di difenniri a to’ cucinu (al Principe) Ha fatto un gesto piú corretto e signorile. Incontratosi al Club col barone Cima, titolato, uomo di coraggio, con un mondo di duelli all’attivo, ’u firmò e ci dissi: Senta, barone, se ricevesse i secondi da Gregorio Sarpa, che farebbe, lei? ’U baruni ci rispusi: Mi batterei – e allura so’ cucinu ci dissi: Si tenga a mia disposizione.
MEMMO
Si pò immaginari, Pincipi, ’i risati c’avrà fattu, dentru di sé, Petru Cima, a ’sta sparata di scemu!
PRINCIPE
Perché scemo?
MEMMO
Ca comu, pirchí?... E dov’è l’offesa, per giustificare quel: si tenga a mia disposizione?...
PRINCIPE
Diamine! Ritenendo voi, barone Cima, degno di misurarsi con voi stesso un individuo al quale io ho negata una partita d’onore, mi date, implicitamente, una smentita e avete l’aria di darmi una lezione! Ecco l’offesa!
MEMMO
Ma scusi… pigghiamu ’i codici di cavalleria, tantu…
PRINCIPE
(alzandosi) No, no, amico mio, lasciamoli stare, i codici cavallereschi! L’individuo che misura la sua suscettibilità con le norme e le regole fisse di un codice è… un povero diavolo che può fare anche a meno di provocare vertenze. È fratello gemello di quell’altro, che sente il bisogno di consultare il Monsignor della Casa per non far magre figure in società!
MEMMO
(alzandosi alla sua volta) Giustissimo, ma veda…
PRINCIPE
Signor mio, è quistione di educazione e di suscettibilità dell’individuo. Anni fa, veda, ho rappresentato il marchese Peloro in una vertenza originata da un motivo piú sottile… Comodi, comodi prego (si rimette a sedere) Egli doveva… poche migliaia di lire al commendatore Garozzo, della Corte dei Conti. Questi ne chiese la restituzione senza farla precedere o seguire da alcuna motivazione. Il marchese, dall’un canto regolò il suo debito, dall’altro mandò a sfidare il commendatore (movimento di sorpresa in Memmo e Matteo) Ecco, la cosa vi sorprende, come ha sorpreso il Garozzo, ma non ha sorpreso me. Perché il commendatore aveva, difatti, offesa la suscettibilità del marchese. Se questi non aveva restituito, segno che non aveva potuto, mentre la richiesta di restituzione, secca secca, conteneva il dubbio che non avesse voluto e quindi che si comportasse con poca correttezza…
MATTEO
Ma poteva aver dimenticato!...
PRINCIPE
(fissandolo, grave) Un gentiluomo non dimentica, non può e non deve dimenticare un debito. Questa supposizione, che a lei sembra cosí innocente, avrebbe contenuto un’altra grave ingiuria!... Il marchese ha fatto bene a sfidare, io l’ho assistito ben volentieri e la vertenza si è chiusa con le piú ampie scuse del commendatore, consacrate in verbale.
MEMMO
Principi, e ppi chistu vínnimu nni vostra eccellenza, pirchí sapemu ca in fattu di cavalleria rappresenta la Corte di Cassazione!
PRINCIPE
Suo cugino ha agito benissimo… Si sono battuti… o si batteranno?
MEMMO
Ca quali, onorevole, ancora si deve portare la sfida… Noi saremmo i secondi…
PRINCIPE
Anche lei?
MEMMO
Sissignore, testimonio.
PRINCIPE
Non è corretto.
MEMMO
Ma…
PRINCIPE
So quello che vuol dire: cugino in terzo grado, secondo i codici… Ma io, con buona pace dei codici, le ripeto che non è corretto. Lei è un Resta, come il suo primo… ascolti, declini il mandato, nell’interesse di tutti e due.
MEMMO
Ma io lo declino, si pò immaginari! Tantu chiú ca ’i cosi si ’mbrugghiaru… (si ode, dall’interno, il campanello del telefono e la voce del Servitore che dice: pronti. Il Principe si mette in ascolto).
MATTEO
(ne approfitta per dire a Memmo, concitatamente) Ah, e mi lassi ’nt’ ’e guai, dopo aviri fattu ’u chissi chissi!?
SCENA II
Il servitore e detti
SERVITORE
(dalla sinistra) Eccellenza, telefona Roma.
PRINCIPE
Gabinetto del Ministro?
SERVITORE
Credo, eccellenza.
PRINCIPE
Non bisogna credere, bisogna chiedere… Pregate il segretario di andar lui, e se non si trattasse di cosa urgente, procuri di dispensarmi (il Servitore s’inchina ed esce).
MEMMO
Onorevole, facissi con comodo, nuautri aspittamu.
PRINCIPE
No, no, non si dia pena. Se è il Presidente, c’è sempre tempo a parlarci. Esce da Palazzo Braschi alle nove di sera, si figuri!...
MEMMO
(dopo aver guardato Matteo, come per dirgli: che uomo, eh!) Dunque, onorevole, la cosa si è ingarbugliata pirchí me’ cucinu, dopo averci dato mandato, ci ripinsau, di notti e notti, e stamatina, all’alba, mi vinni a diri che è piú forte di lui, ma non ci abbasta l’armu di battersi… Ha paura!
PRINCIPE
(sorride) E qui, io non ho piú che cosa dirle. Di fronte alla paura!...
MEMMO
Ma non capisci, signor Principe, ca dopu aviri fattu ’dda smargiassata, si non si batti è persu e disonora tutto il casato? Com’è ca non si batti, arrivatu a ’stu puntu?
PRNCIPE
(c. s.) E come fa, a farlo battere per forza?
MEMMO
Scusi. La scelta delle armi, a chi spetta?
PRINCIPE
All’offeso.
MATTEO
(con sussiego) Non ti l’aveva dittu?!
MEMMO
Benissimu. L’offeso è lui?
PRINCIPE
Mi pare…
MEMMO
E lui sceglie la pistola!…
PRINCIPE
Come?...
MEMMO
(a Matteo) Chi mi dicisti, allura?
MATTEO
Eccu, Principe, si vorrebbe scegliere la pistola per fare un duello… incruento… Come si fa sempre, via…
PRINCIPE
Ma…i secondi avversarii si presteranno a questo… scherzo?
MEMMO
E chi lo sa?... D’autru cantu chiddu non verrà sul terreno – l’ha dittu e ci avemu a cridiri – si non avrà la cirtizza ca ’u duellu si farà a la pistola e…
PRINCIPE
A salve! È un uomo di carattere! (sorride).
MEMMO
Principi, vostra eccellenza ’a pigghia a rídiri e cca ’a cosa è seria, seria per tutto il casato!
PRINCIPE
E che posso farci, io?
MATTEO
Lei àvi tanti espedienti! Non abbandoni il mio amico!
PRINCIPE
Mio egregio signore, io ho tanti espedienti quanti ne ha lei e quanti ne ha il suo amico. Dal momento che nessuno di voi ha voluto pensare alla cosa piú semplice!
MATTEO e MEMMO
Quali?
SCENA III
Il Segretario e detti
SEGRETARIO
(dall’uscio di sinistra) Perdonino, signori… Onorevole, sua eccellenza la prega di favorire al telefono per comunicazioni personali urgenti.
PRINCIPE
(alzandosi e andando) Subito (ai due) Scusino tanto…
MATTEO
Le pare!...
MEMMO
Faccia, faccia!...
SEGRETARIO
(fa un inchino e segue il Principe).
SCENA IV
Matteo e Memmo
MEMMO
Chi diavulu pò essiri ’sta cosa semplice?
MATTEO
Sarà semplice ppi iddu, ppi nuautri è algebra!
MEMMO
Chi omu, ah?... Ju non capisciu com’è ca non è ancora Ministru!... Pari ca a Roma non si movi fogghia d’albero senza ’u so’ cunsigghiu!... Ma chiuttostu, m’ ’u sai diri pirchí sta cca e no a Roma?
MATTEO
Ah, chistu ’u sacciu. Ppi ragiuni di saluti. Àvi bisognu di clima caldo e d’aria di mari, arriparata d’ ’a tramuntana… Di ’sta lucalità precisa, va…
MEMMO
’Ntantu ’a genti maligna dici ca è cca pirchí si nn’ appi a scappari, prima di Palermu e poi di Catania, a causa d’ ’i debiti…
MATTEO
No, ppi chissu, qualche debitu l’àvi… Forsi ppi mala amministrazioni, ma l’àvi (in confidenza) Macari a mia m’ha a dari quarche migghiaru di liri!... Sí, c’ ’i pristai ’na sira o’ circulu… cincu o se’ misi fa…
MEMMO
E non ci l’ha’ dimannatu mai?
MATTEO
Non haju avutu curaggiu… Ora, poi, doppu ’ddu discursu ca fici pocu fa!...
SCENA V
Il Segretario e detti.
SEGRETARIO
(rientrando improvvisamente) Sua eccellenza si scusa se non può intrattenersi oltre con lor signori… Certi affari urgenti…
MEMMO
Santu Diu! Caru Matteo, semu propriu disgraziati!...
SEGRETARIO
Se potessero tornare stasera…
MATTEO
E comu?... (a Memmo) Spirano i termini!
SEGRETARIO
Ascoltino: l’onorevole, nell’incaricarmi di portare le sue scuse, m’ha detto di ricordar loro la vertenza Motta-Tirelli.
MATTEO
(e Memmo si guardano piú confusi che persuasi) E non le ha detto altro?
SEGRETARIO
Altro.
MEMMO
Senta, signor… Scusi, il suo riverito nome?
SEGRETARIO
Murrita, cavaliere Adolfo Murrita, ai suoi ordini…
MEMMO
Stimatissimo signor cavaliere, senta, vuole usarci la cortesia di domandare a sua eccellenza – un mumentu, chi ci vòli – qualche notizia sopra questa vertenza? Noi la ignoriamo.
SEGRETARIO
Ah, ma io la conosco perfettamente (facendo segno ai due di accomodarsi) Ecco: il barone Motta di Spaccaforno doveva battersi con il famoso spadaccino Totò Tirelli, di Lipari; ma alla vigilia dello scontro fu preso da tale paura che dichiarò ai suoi secondi che non lo avrebbero portato sul terreno che morto!...
MEMMO
(ammiccando Matteo) Tali e quali!
SEGRETARIO
I secondi del barone, però, uomini navigati, non si sgomentarono per questo. Gli promisero di farlo battere alla pistola…
MATTEO
E a salve!
SEGRETARIO
Precisamente. E difatti, spettando a loro la scelta delle armi, scelsero quella da fuoco.
MEMMO
E trovarono i secondi avversarii d’accordo nella finzione?
SEGRETARIO
Niente finzione. Il duello ebbe luogo in perfetta regola; il barone Motta, – il solo a credere che le pistole fossero cariche a polvere – si presentò sul terreno impavido, impugnò l’arma senza tremare, mirò con freddezza e al comando «A voi!» tirò e colpí l’avversario!
MATTEO
Magnifica!... Parola d’onuri, geniali!...
MEMMO
Eh, santissimu diavulu, chi spiragghiu, ca mi raperu!... (prendendo la mano a Murrita e stringendogliela forte) Grazie, cavaliere, grazie!
MATTEO
Sí, ma… un mumentu!... Si to’ cucinu, invece di colpire, fussi colpitu?
MEMMO
Chi mi ’mporta? Ppi mia pò mòriri, basta ca mori di omu di curaggiu e d’onuri, comu divi fari un Resta! A mia ’u bon nomu d’ ’u casatu mi premi, capisci?... Intantu, non perdiri ’u trenu… Ju restu – tantu è stabilitu ca non c’entru – vaju a fari culazioni e tornu ppi ringraziari ’u Principi…
SEGRETARIO
Può anche dispensarsene… Se non le spiace, farò io le sue parti…
MEMMO
No, è dovere!... Mi sta facennu un favuri per il quale non ci sono parole. A rivederci, cavalieri.
SEGRETARIO
Servitor loro (i due escono, dalla comune).
SCENA VI
Il Segretario e il Servitore.
(Il Segretario va a sedere presso la sua scrivania, con le spalle alla parete di destra e si mette a scrivere).
SERVITORE
(entra e si fa presso la sua scrivania, attendendo, impalato).
SEGRETARIO
(alzando gli occhi) Che c’è?
SERVITORE
C’è l’esattore del sarto, che viene dalla città con una fattura, e c’è il signor Cordella…
SEGRETARIO
Dite a quello della fattura che sua eccellenza sarà in città lunedí e si recherà lui stesso in sartoria per nuove commissioni, e fate entrare il signor Cordella…
SCENA VII
Il Servitore, Cordella e il Segretario.
SERVITORE
(sulla comune, introduce il signor Cordella) Favorisca.
CORDELLA
Riverito, signor cavaliere… Sua eccellenza?
SEGRETARIO
È in camera, a fare un sonnellino sulla poltrona… Debbo avvertirlo?
CORDELLA
Si non ci dispiaci… Sa, fu lui stesso, ca mi dissi di vèniri a ’st’ura…
SEGRETARIO
(al Servitore) Se il signor Principe è desto, avvertitelo che c’è il cavalier Cordella (il Servitore esce).
CORDELLA
(udendo la parola cavaliere, s’irraggia in volto) Dunca… mi dicissi… fu firmatu?
SEGRETARIO
Che?
CORDELLA
Il decreto…
SEGRETARIO
Non saprei, glielo dirà l’onorevole.
CORDELLA
Ho capito!... Non ci vòli livari ’u piaciri di dirmelo lui… ma sa… ju farò finta ca non nni sacciu nenti, parrassi.
SEGRETARIO
No, le assicuro, non so.
CORDELLA
(deluso) Ma allura… scusi, pirchí mi fici annunziari come il cavaliere Cordella?
SEGRETARIO
Perché per me, lei, virtualmente, è cavaliere!... So che se ne interessa sua eccellenza!... È forse questa la prima croce che procura ai suoi amici?
CORDELLA
Ben detto… ben detto!... Ma… nenti sapi, lei?
SEGRETARIO
Ecco sua eccellenza (si alzano).
SCENA VIII
Il Principe, il Segretario e Cordella
PRINCIPE
(entrando) Comodi, comodi.
CORDELLA
Scusassi, eccellenza, se l’ho disturbata…
PRINCIPE
Tutt’altro (invitandolo, col gesto, di accomodarsi) Come va, caro Cordella? (subito al Segretario) Ha reso, lei, al signore quel danaro?
SEGRETARIO
Non ancora, eccellenza.
CORDELLA
Ma ccu ’u so’ comudu, eccellenza… Chi cridi, ca vinni ppi chistu?... Mi fa torto.
PRINCIPE
(a Cordella) So bene, so bene (al Segretario) Perché non lo ha ancora reso?
SEGRETARIO
A causa di quella cedola sulla Commerciale, che non mi fu pagata.
PRINCIPE
Per qual ragione?
SEGRETARIO
Perché vi manca la firma del beneficiario come contraente. Quindi ha dovuto tornare al punto di partenza per essere messa in regola… Io non ho altri fondi…
PRINCIPE
(nervoso) Capite? Una distrazione di un quilibet di corrispondente, mi mette, di punto in bianco, in imbarazzo!
CORDELLA
(premuroso) In imbarazzo ccu mia, eccellenza… Ca chi dici?
PRINCIPE
Non con voi, caro Cordella, che siete pieno di deferenza e non avete fretta di riavere quella somma, ma con altri!... È un contrattempo spiacevole, ecco! Una noia!
CORDELLA
(timido) Senta io non oso…
SEGRETARIO
(piano) Osi, osi, sua eccellenza ha tanta stima di lei!
PRINCIPE
Che cosa?
CORDELLA
Chi sacciu… s’avissi bisognu di danaro, sa, non facissi cirimonii…
PRINCIPE
No, no, grazie.
CORDELLA
Onorevole, senza complimenti! Sa… offrirle i miei servigi, ppi mia, è un onore…
PRINCIPE
(con fermezza) Grazie, non occorre (al Segretario) Rifletto che si potrà rimediare coi cuponi di quella tale rendita. Ha capito, cavaliere?
SEGRETARIO
Ma… non saprei (lo fissa con intelligenza).
PRINCIPE
(c. s.) Lo so io… Grazie, Cordella, non occorre.
CORDELLA
Comu vòli vostra eccellenza… ma si ricordi…
PRINCIPE
Che nuove?
CORDELLA
Eh… ’ccillenza, dimannu a lei… Ju sugnu comu colui che son sospesi… non sacciu si dici accussí, ’u pueta?...
PRINCIPE
Già… nessuna nuova, da quel lato…
CORDELLA
(si rabbuia) Non cridi, onorevole, ca avissiru partutu cattivi infurmazioni di parti d’ ’a questura?
PRINCIPE
Cattive no, non decisive, forse!
CORDELLA
’I cosi mei!... Si mi cridi, ’ccillenza, nni staju facennu ’na malatia!...
PRINCIPE
Siamo a questo? Per una cosa da nulla? Andiamo, via!
CORDELLA
Da nulla, sissignuri!... E ppi chissu è, vidi? Hannu fattu cavaleri a tanti imbecilli – scusassi si parru accussí – e ppi mia finíu ’u munnu! Dicu ju, unu chiú, unu menu, chi costa?... Non è ppi mia, m’àvi a cridiri, signor Principe, ca ju non ci badassi; ma ppi ’dda biniditta fimmina di me’ mugghieri! ’U sapi comu su’ ’i fimmini! Doppu la so’ prumissa, ci ’a desi ppi fatta e non mi duna chiú paci…
PRINCIPE
Povera signora, bisogna compatirla…
CORDELLA
Finu a un certu puntu, ’ccillenza!... Si sapissi chi lingua! Ora è arrivata a diri ca forsi vostra ’ccillenza si nni fidau troppu di la so’ putenza e chissa è cruci ca non l’haju avutu e non l’avrò mai! Anchi ppi daricci ’na risposta, ’ccillenza, vossignoria s’avissi a fari in quattru per farmi insignire…
PRINCIPE
(alzandosi) Ma, caro Cordella, parliamoci chiaro: Io, di croci, ne ho fatto ottenere a migliaia.
CORDELLA
E allura? Biniditta so’ santità!...
PRINCIPE
E allora, amico mio, gl’interessati mi hanno agevolato il compito! Voi che cosa avete fatto per venirmi in aiuto? Nulla! Vi pare che vi si possa nominare cavaliere sol perché vi siete arricchito con la calce spenta? Quali benemerenze vantate, di fronte al paese, di fronte all’umanità, per meritarvi una decorazione?
CORDELLA
Ju crideva, ’ccillenza, ca la so’ parola, la sua protezione…
PRINCIPE
La mia parola e la mia protezione valgono laddove trovano il terreno spianato; ma se voi non fate nulla per spianarlo…
CORDELLA
E cc’haju a fari? Vossignoria parra! Mi dica!
PRINCIPE
Ma, certe cose non si dicono, mio caro! Pensate a quello che non avete mai fatto e che pure avreste dovuto fare…
CORDELLA
Ma chi? Si vostra ’ccillenza non mi illumina!
PRINCIPE
Ma che illuminare! Avete mai fatto della beneficenza? Neanche un centesimo! E non vi pare strano, con le vostre ricchezze?
SEGRETARIO
(ha seguito e segue tutto il discorso assentendo col capo ogni qualvolta Cordella lo guarda, melenso).
PRINCIPE
Che ve ne fate del vostro denaro? Aveste figli! Fate della beneficenza e vi garantisco che la croce verrà…
SEGRETARIO
(vedendosi guardato da Cordella) Esatto!
CORDELLA
(assente col Segretario, poi, al Principe) Biniditta so’ santità, e pirchí non m’ ’u diceva prima, ’ccillenza? Ma ju sugnu prontu, prontissimu!... Comu si fa ’sta beneficenza?... Mi dicissi… mi ’nsignassi…
PRINCIPE
(infastidito) Ma che volete che v’insegni? (si dà a sfogliare le sue carte, seccato).
CORDELLA
(resta mortificato e si volge c. s. al Segretario).
SEGRETARIO
(piano, ma non tanto da non essere udito dal Principe) Come si fa?... Si mette mano al portafoglio, si prendono quattro, cinque biglietti da mille e si consegnano a una patronessa d’istituto di beneficenza, senz’altro; la quale, poi, s’incarica di spenderle nel modo piú conveniente e di riferire in alto loco la vostra magnanimità; senza che voi diciate nulla a nessuno, perché la beneficenza meglio apprezzata in alto loco è quella che si fa senza pompa e senza dare a vedere che attende una ricompensa (parlando guarda il Principe che, impassibile, continua a sfogliar carte).
CORDELLA
Giustu, giustu, giustissimu!... Non ci aveva pinsatu! (al Principe) Sugnu ’na bestia, ’ccillenza, mi compatissi! Mi vòli fari la carità di suggerirmi il nome di qualche patronessa di beneficenza?
PRINCIPE
Ma… non saprei… In città c’è la marchesa Corrieri, ch’è patronessa delle Cucine Economiche, c’è la duchessa di Malsoprano, ch’è la presidentessa delle figlie di San Giuseppe, c’è la marchesa Ferrati, che governa gli asili d’infanzia!...
SEGRETARIO
E poi, senza andar tanto lontano… c’è qui la principessina, che fa parte del pio Istituto delle Dimesse…
CORDELLA
(mettendo mano al portafogli) Benissimu, benissimu, menza parola!... (al Principe, mentre toglie dal portafogli quattro biglietti da mille lire) ’Ccillenza… non s’offinnissi, ppi carità!... (mettendo i quattro biglietti sulla scrivania) Guardi… io offro alle rimesse della nobile principessina…
SEGRETARIO
(correggendo) Dimesse, dimesse!
CORDELLA
Dimesse… scusassi, questo modesto obolo di quattro mila lire… Eccu, guardi, sunnu quattru biglietti da mille (sta per contarli, ma, pentito, li ripone) Cioè, no, non sacciu quantu sunnu… non sacciu chiddu ca offru, e mancu ’u vogghiu sapiri, pirchí la megghiu elemosina è chidda ca si fa a pugnu chiusu!... (guarda il Segretario che assente col capo) Mi faccia la grazie di offrirli alla principessina, a nomu miu… (vedendo che il Principe non ritira i biglietti) Mi livassi ’sta spina, ’ccillenza!... Me la levi!
PRINCIPE
(riponendo, con degnazione, i biglietti dentro un cassetto della scrivania, con un sorriso impercettibile) Ve la levo, Cordella, ve la levo…
CORDELLA
E grazii, ’ccillenza, calde, caldissime!
PRINCIPE
Di nulla, amico mio.
CORDELLA
(alzandosi) Ppi mia… non ci dicu nenti… Lei, cca, non mi vidi chiú… non ci darò chiú disturbu… (inchinandosi) Veni a diri ca si ci sarannu boni nutizii d’alto loco…
PRINCIPE
Ve le comunicherò, non dubitate. Addio, Cordella…
CORDELLA
(andando, stringe calorosamente la mano al Segretario che gli strizza l’occhio) Calde! Caldissime!... (s’inchina ancora verso il Principe) Eccellenza benedica!
SCENA IX
Il Principe e il Segretario, poi Capitan Mauro e la Signora Vanna
SEGRETARIO
(uscito Cordella guarda il Principe con aria soddisfatta e come attendesse un «bravo», ma poiché questi tace, si rimette a sedere, sconcertato).
PRINCIPE
(con grande disinvoltura) Bisogna scrivere all’onorevole Grassi che se non vuole alienarsi il mandamento ottenga, senz’altro indugio, questa croce per Cordella.
(Frattanto, dietro la vetrata che dà in terrazza, si vedono passare Capitan Mauro e la moglie, che spiano, da lontano, con gli occhi, e man mano, poi, si avvicinano).
SEGRETARIO
(segnando in un foglio di carta, alla sua scrivania) Del lei, del voi o del tu?
PRINCIPE
Del tu: «Caro collega» forma confidenziale (si ferma a guardare il Segretario, che si è fermato a guardare fuori dalla finestra a vetri) riservata alla persona… (pigiando sulle parole) riservata alla persona… Ma che fa, cavaliere, perché non scrive?
SEGRETARIO
Ah, scusi, eccellenza… stavo a guardare alla finestra, perché c’è dietro il padrone di casa…
PRINCIPE
E lo lasci fare, è a casa sua!...
SEGRETARIO
No, pare che voglia entrare da questa parte… C’è anche la signora…
PRINCIPE
(coi gesti e con la voce a Capitan Mauro e Vanna, che sono dietro la vetrata) Vogliono parlarmi?... Sí? Vengano pure! Sí, sí, passino! (va ad aprire da sé la vetrata).
CAPITAN MAURO
(alla moglie) Passa (entra la Signora Vanna e la segue).
VANNA
(preoccupata) Scusassi, signor Principi, si disturbamu… ma chi nni pensa?...
PRINCIPE
Che penso di che, signora?
MAURO
(alla moglie) T’ ’u dissi, ju; ’u Principi è sempri tranquillu!... Àvi ’na flemma, Diu lu binidica!...
PRINCIPE
(lo guarda piú meravigliato che severo contro il tono confidenziale che si permette).
MAURO
’Sti picciotti, ca non tornanu, chi fannu? Unni jeru a finiri? Non ci pensa, lei?
VANNA
(per correggere, dolce) Sa, nuautri stamu in pinseri… Avissiru duvutu essiri di ritornu quattr’uri arreri…
PRINCIPE
Anch’io sto in pensiero, signora, ma che vuole che risponda?... Qualche lieve incidente li avrà fatti ritardare!...
VANNA
Sapi, l’Etna è malfidata, ddà susu!... Ci su’ certi passaggi d’accussí stritti, supra certi burruni accussí funni!
SEGRETARIO
Ma non stiano in pensiero, signori… I figliuoli del signor Principe, tanto il duca che la principessina, sono dei perfetti alpinisti, i loro, tanto capitan Stefano che la signorina Cristina, sono due scojattoli – perdonino il paragone – che vanno preoccupandosi, perciò, di passaggi stretti e burroni profondi?
MAURO
Ma allura, ’stu ritardu, comu si spiega? I nostri figli, sa, non possono aver dimenticato ca l’aspittavumu stamattina di bonura… e che siamo apprensivi…
VANNA
Ca comu!... Cristina, specialmente, ca mi conusci!...
PRINCIPE
Signora Giovanna, non corra con la fantasia, la prego… Quante volte, andando in barca coi suoi figliuoli, i miei figli m’han detto che sarebbero tornati a ora di colazione e son tornati, invece, la sera?... Bisogna lasciarli fare… si dànno un po’ di spasso, in libertà… in villeggiatura…
MAURO
Sí, però in barca è un’altra cosa, eccellenza! Niscemu cca fòra, in terrazza, noi dalla nostra finestra, lei dalla sua, ’i videmu, a largu, e stamu tranquilli… Inveci, oggi…
SEGRETARIO
Io credo – perdoni eccellenza, scusino, signori –, io credo di aver trovata la ragione del ritardo dei signorini… Avranno pensato di fare la discesa dalla parte di Randazzo e quindi avranno attraversato la pineta di Linguaglossa. Entusiasti come sono di tutte le cose belle, si saranno indugiati a contemplare il paesaggio cosí singolare, a raccogliere fiori, muschio, capelvenere…
MAURO
(ironico) Può darsi… può darsi… Ca comu!...
VANNA
Macari, Diu!
MAURO
Già… E si scurdaru ca cca ci semu nuautri vicchiareddi ca l’aspittamu!... Scusassi, principi, parlo dei miei figli.
PRINCIPE
Oh, io non giustifico i miei!
VANNA
Sunnu picciotti, si sapi…
SEGRETARIO
E quando sono insieme, specialmente…
MAURO
(aggrottato, masticando e sbirciando la moglie) Già… e quannu sunnu picciotti… e quannu sunnu ’nsemi!...
PRINCIPE
(non potendo non notare il dispetto che traspare dalle parole di Capitan Mauro) Scusi, finisca… Quando sono insieme, voleva dire?...
MAURO
Ah, nenti!... (un po’ smarrito) Ca vannu di cunserva comu ’i varchi ’i pisca… si metti in panna una, mettunu in panna l’autri… Ma al signor Principe l’avemu incomudatu, jemuninni.
PRINCIPE
Ma no, ma no… Capisco che sono costernati… per quanto senza ragione…
VANNA
Scusassi… nn’arritiramu (al marito). Sarà forsi beni ca mannamu a qualcunu a ’ncuntrarli…
MAURO
Si capisci ca bisogna mannari a qualcunu…
PRINCIPE
Se vogliono possono disporre della mia servitú.
MAURO
Oh, grazi!... Quantu m’affacciu fòra d’ ’a porta e grapu ’a vucca, ppi mia currunu tutti.
PRINCIPE
Oh, so bene che loro sono come… i feudatarii di questo borgo… incantevole… Ma stiano tranquilli… torneranno fra poco…
VANNA
(uscendo) Speriamu (s’inchina).
MAURO
(s’inchina alla sua volta) Riverito, eccellenza, e scusassi…
PRINCIPE
Di nulla (saluta con la mano i due, che escono).
SCENA X
Il Principe e il Segretario.
SEGRETARIO
(tornando al suo tavolo, finisce di scrivere, ripetendo) Forma confidenziale, riservata alla persona.
PRINCIPE
(poco dopo, guardandolo) Novità?
SEGRETARIO
C’è stato l’esattore del suo sarto, con una fattura, e gli ho fatto dire che ella sarà in città lunedí e passerà dalla sartoria per nuove commissioni…
PRINCIPE
Ben fatto. Poi?
SEGRETARIO
È venuto, prima, il beccaio, con la nota della fornitura di tre mesi… Gli ho comunicato la notizia della fermata ferroviaria ottenuta per suo mezzo e s’è riportata la nota, senza insistere sul pagamento…
PRINCIPE
(interrompendolo) Bisogna saldargli la nota.
SEGRETARIO
Ma se non ha voluto lasciarla?
PRINCIPE
Non importa, bisogna richiederla e saldarla… È un poveretto, non è un signore (togliendo dal tiretto due dei biglietti da mille del signor Cordella) Paghi il beccaio, regoli i piccoli conti in sospeso coi fornitori e dia il Ferragosto alla servitú.
SEGRETARIO
Qui non usa, eccellenza. Non sanno neanche che sia, il Ferragosto.
PRINCIPE
Lo spieghi e dia le mance (notando che Murrita lo guarda con aria di meraviglia, contrariato) Stia buono, mi ascolti!... Santo Dio, lei cosí intelligente, cosí perspicace in tutto, ha certi momenti di ottusità che infastidiscono!... Occorre le spieghi che il prestigio va mantenuto soprattutto con la servitú?... Rimandi anche i pagamenti degli stipendii, faccia delle economie su tutto, ma sia largo nelle regalie. Almeno per conto mio, ha capito?
SEGRETARIO
Ho capito…, ma con quello che mi avanzerà, meno di duecento lire, non potrò fare gran che. Poi… certi stipendi bisognerà pagarli…
PRINCIPE
Per esempio?
SEGRETARIO
Per esempio…, il mio…
PRINCIPE
Oh, sia lodato il cielo! Parli chiaro, ci risparmieremo tante parole inutili! Le serve del denaro. Quanto?
SEGRETARIO
Non saprei… Ho tanti impegni, tante necessità…
PRINCIPE
(irritato) Quanto?... non mi faccia perder tempo!...
SEGRETARIO
Pel momento… mille… mille e duecento lire…
PRINCIPE
Caspita! (con gli altri due biglietti di banca in mano) se dò tanto a lei…
SEGRETARIO
Per questo non capivo come mai, poco fa, quando Cordella le offriva del denaro…
PRINCIPE
Cavaliere, oggi proprio non la riconosco!... Se avessi accettato da Cordella un nuovo prestito, non avrei potuto accettare le quattro mila lire della beneficenza. Non ha capito che ho rifiutato a ragione veduta?... Cosí, questo nuovo debito mi resta con mia figlia (smorfia del Segretario) E la cosa è ben diversa, mi pare!
SEGRETARIO
E chi le dice che non avrebbe dato per l’una cosa e per l’altra?
PRINCIPE
Dico che non l’avrei voluto io!... Non bisogna essere ingordi, caro cavaliere, e occorre aver la sapienza di non abusare degli amici, per poterne usare piú lungamente. Lei, per esempio, abusa di me! (gli consegna un altro biglietto da mille).
SEGRETARIO
(intascandolo) Ah, no, Principe, non lo dica… Sono i miei bisogni, creda…
PRINCIPE
Lei è un segretario che ha bisogni da principe!... Mi costa troppo, parliamoci francamente.
SEGRETARIO
Perché lei non tiene calcolo dei servigi che le rendo.
PRINCIPE
(guardandolo accigliato) Grandissimi, senza dubbio. Ma se li fa strapagare!... E se mi riuscisse d’andare ministro in Cina, non mi caricherei certo del peso di un segretario cosí costoso come lei!...
SEGRETARIO
Ah, allora sarebbe un’altra cosa! Avrei una base sicura. Pensi, onorevole, che questo è un periodo transitorio…
PRINCIPE
Basta, paghi tutti, si prenda il resto e non se ne parli piú. (passeggia un po’ per la stanza, pensando, poi) E siccome non posso partire senza fondi, perché donna Marcella mi scrive che ha fatte tante spese per me, a Roma, mi faccia il piacere di recarsi da Don Ignazio e di fargli ben notare che gli sarò grato d’una visita. Si ricordi di dirgli: Suo cugino le sarà grato. Abbiamo accertato che è il vero conte di Mottacannata, ed è mio cugino, ha capito! Insista sul cugino… e se – curioso com’è – le chiedesse di che si tratta, gli dica che forse gli dovrò parlare del suo titolo nobiliare… Se mi riuscisse di vendergli quel ritratto del mio… del nostro antenato… dipinto dal Lo Forte…
SEGRETARIO
Dal Monrealese, onorevole!...
PRINCIPE
No, no, non lo ripeta. Mi sono accorto che c’è la data del 1820. Il Monrealese è morto due secoli prima. Dev’essere del Lo Forte… anzi è proprio suo, ha capito?
SEGRETARIO
Del Lo Forte, sissignore.
PRINCIPE
Meglio cosí; perché se fosse del Monrealese non potrei cederlo per le poche migliaia che mi occorrono.
SEGRETARIO
Benissimo. Oh, io sono certo che Don Ignazio lo acquisterà. Vado subito.
PRINCIPE
Attenda. Che ora abbiamo? (entrambi tolgono l’orologio di tasca).
SEGRETARIO
Le tre e trenta.
PRINCIPE
Ma questi benedetti figliuoli, perché non giungono?... Questo ritardo comincia a impensierire anche me.
SEGRETARIO
Eccellenza, vuole che vada incontro a loro io pure?
PRINCIPE
Sí, vada, cavaliere, e si informi se ci sono ritardi di treni, guasti di linea…
SEGRETARIO
Con questo tempo?... Mi informerò (s’inchina ed esce).
SCENA XI
Il Principe e il Servitore
PRINCIPE
(scomparso il Segretario preme sul bottone del campanello e appare il Servitore) Se venisse Don Ignazio, fatelo passare, ma se si fermasse oltre il quarto d’ora, venite a portare la solita imbasciata…
SERVITORE
(con intelligenza) Eccellenza, sí.
PRINCIPE
Il cavaliere ha avuto ordine di passarvi la mancia di Ferragosto.
SERVITORE
Grazie, eccellenza! Non sappiamo come corrispondere…
PRINCIPE
Col rispetto e la devozione, non chiedo altro.
SERVITORE
Ci consideri cosa sua, fino all’ultima goccia di sangue!...
PRINCIPE
(lo licenzia familiarmente con la mano).
SERVITORE
(s’inchina, tende la mano e poi se la porta alle labbra, baciandola, in atto di profonda devozione. Indi va. Si ode, dalla comune, un frastuono di voci).
SCENA XII
Stefano, Cristina, Giovanna, Luigi, il Principe, poi il Servitore
(I quattro giovani, entrando dalla comune, irrompono sulla scena come tanti indemoniati, in costume da touristi, con fiori di campo agli occhielli e sul seno e con le mani ingombre di fasci di felci rupestri e capelvenere. Essi circondano il principe di Falcomarzano e gridano ripetutamente) Viva papà… Viva il principe di Falcomarzano! Viva l’onorevole di Falcomarzano!...
GIOVANNA
(abbraccia e bacia il padre).
LUIGI
(lo infiora tutto).
STEFANO
(gli mette sulla scrivania il suo fascio verde).
CRISTINA
(gli offre il suo, che il Principe depone in un portafiori).
PRINCIPE
Da bravi, ragazzi, vi siete divertiti, mi pare?...
LUIGI
Ah, papà, siamo ubbriachi di entusiamo!...
CRISTINA
Ah, signor Principe!...
GIOVANNA
Ah, papà caro, che gita memorabile!...
PRINCIPE
(bonario) Sentiamo un po’…
CRISTINA
Prima di tutto, scusassi, Principe: quanto è alta l’Etna?...
PRINCIPE
Sul cono: tremilatrecentotrenta metri, circa.
GIOVANNA
(a Luigi e a Stefano) Avete udito? Ho vinto io. Sono stata a tremilatrecentotrenta metri sul livello del mare!
PRINCIPE
Anche tu, sul cratere?
GIOVANNA
Anche noi, devi dire! Signor sí, io e Cristina! Ci decidemmo quando fummo lassú, alla Casa degli inglesi. C’era una comitiva di stranieri che si preparavano all’ascesa, e con loro anche le donne. Quando io e Cristina notammo che le signore erano della partita, siam saltate di cuccetta e non abbiamo voluto esser da meno di loro.
CRISTINA
’Sti signurini non nni vulevunu purtari, ma noi ci siamo imposte!
STEFANO
Sfido, si stavano mettendo a piangere!
GIOVANNA
Scusa, papà, perché noi non possiamo fare quello che fanno le tedesche, le inglesi, le danesi, le americane? Che hanno piú di noi? Te lo dico io: abbigliamenti e modi di fare da maschi…
LUIGI
Piedi abbondanti…
GIOVANNA
Scarpe ferrate, alpenstok, borse…Baedeker…
CRISTINA
Zaini, elmi, mantelli a tracollo…
STEFANO
Binoccoli, macchine a spirito pp’ ’u caffè e per la camomilla.
GIOVANNA
Fiasche con bicchieri, bariletti di birra, brodi in bottiglia… un carico da camelli e un equipaggiamento da far paura!...
CRISTINA
Noi, sa, Principe, ficimu l’ascensione ccu ’i scarpi ca nni vidi, una sciarpa in testa…
GIOVANNA
E un palo da vigna per alpenstok!...
STEFANO
E siete arrivate prima delle straniere!
GIOVANNA
Senza darci nessuna ostentazione d’alpiniste!
PRINCIPE
E senza soffrire il mal di montagna, immagino…
GIOVANNA
(guarda Stefano, Cristina guarda Luigi e tutti e quattro restano per un po’ imbarazzati).
LUIGI
Già…
STEFANO
Certu…
GIOVANNA
(rinfrancata) No, diciamo la verità, che importa? Io e Cristina abbiamo sofferto, un po’… Ma loro (accennando al fratello e a Stefano) ci hanno sorretto (tutti e quattro tornano a guardarsi e fanno un’altra breve pausa).
CRISTINA
Fu un mumentu sapi… E poi bisogna pinsari ca c’era tantu friddu!... Con tutto questo siamo giunte prima noi!
PRINCIPE
(c. s.) E bravi! (stringe al seno la figliuola).
GIOVANNA
(sciogliendosi) Di’, papà, non l’hai mai fatta l’ascensione dell’Etna, tu?
PRINCIPE
No, figlia mia… Ho avuto ben altro da fare, io!
GIOVANNA
Ah, se sapessi che spettacolo, di lassú!... Che cosa grandiosa, sublime!...
PRINCIPE
Ma… Non avete appetito, giovinotti, o avete già fatto colazione?
LUIGI
Che, che!... Abbiamo una fame da lupi!...
PRINCIPE
E allora passate di là. È apparecchiato per quattro (a Stefano e Cristina) Spero vorranno gradire…
STEFANO
Ccu tuttu ’u cori, Principi.
CRISTINA
Bisognerà avvertiri ’o papà e ’a mamà.
PRINCIPE
Penseremo noi.
SERVITORE
(sulla soglia della sinistra) Signorini, è servito!
STEFANO
(a Giovanna, facendole posto) Avanti, signurina.
GIOVANNA
(facendo posto a Cristina) No, prima gli ospiti (passano Cristina e Stefano, poi Luigi, ultima Giovanna).
SCENA XIII
Principe e Giovanna, voci interne di Luigi, Stefano e Cristina.
PRINCIPE
(piano) Giovanna!
GIOVANNA
(tornando sui suoi passi, premurosa) Papà…
PRINCIPE
Perché tu lo sappia, il signor Cordella mi ha lasciato, poco fa, quattromila lire per il Pio Istituto delle Dimesse, del quale sei patrona… Bisognerà ringraziarlo.
GIOVANNA
(in tono di dolce rimprovero) Papà!...
PRINCIPE
Che c’è?... È un Istituto che voglio fondare… che esisterà domani… Mi piace che mia figlia si occupi un po’ di…
GIOVANNA
(c. s.) Tu lo sai, papà, che io non sono adatta a questo genere… di affari. Mi manca l’attitudine… Non so come dire… la disinvoltura… Faccio presto a impaperarmi… a mortificarmi…
PRINCIPE
Mortificarti? di che? (vedendo che Giovanna non risponde) Va bene, le renderemo, ecco! (secco).
GIOVANNA
No, papà, non seccarti!... Se credi che sia utile?!
PRINCIPE
Non utile, necessario, in questo momento! Io, pur troppo, non ho il solo pensiero di combinar delle gite e delle conversazioni tenere…
GIOVANNA
(avvampando, abbassa gli occhi e, con voce tremula) Parli di me, papà?
PRINCIPE
Di te?… Non so, io… Parlo in genere… E del resto non faccio rimproveri a nessuno. I giovani, si capisce, non hanno altro pensiero, specialmente le donne… D’altro canto so che mia figlia non riporrà mai il suo affetto in un uomo che non ne sia pienamente degno.
GIOVANNA
Ma che credi? Che pensi?
PRINCIPE
Nulla… Perché ti adombri?
GIOVANNA
Siccome non avrei riposto il mio affetto su alcuno…
PRINCIPE
Non dico che abbia fatto male… ma non me ne congratulo… La gioventú è fatta per amare… e passa presto…
GIOVANNA
(mesta, amara, quasi con rimprovero) È passata, babbo, per me!...
PRINCIPE
Non dire sciocchezze!... Hai appena ventisei anni, sei bella e sei una Falcomarzano…
GIOVANNA
Senza dote!...
PRINCIPE
Che ne sai, tu?... E se cosí fosse, ragione di piú per essere felice quando sposerai, perché non ti avranno tolta in isposa per interesse.
GIOVANNA
E se non mi sposasse nessuno?
PRINCIPE
Se tu miri… non saprei a che cosa?... Se pensi a trovatori e a cavalieri erranti?...
GIOVANNA
Io?...
PRINCIPE
Al giorno d’oggi!...
GIOVANNA
Non ci penso affatto… anzi, tutt’altro!...
PRINCIPE
(come pensando tra sé) Se mi riesce – come tutto lascia sperare – d’andar Ministro… (ripensa) Ma se tu ti smarrisci… se tu…
VOCE DI STEFANO
Signorina Giovanna!...
GIOVANNA
(premurosa) Vengo, signor Stefano! (guarda il padre e resta come interdetta).
PRINCIPE
Va’, va’, che sposerai… e anche presto.
GIOVANNA
(commossa, gli tende la mano) Grazie, papà, mi hai fatto tanto bene, con le tue parole!
PRINCIPE
Con le tue, invece, mi hai fatto male… (guardandola negli occhi) Cosa pensi di tuo padre?...
GIOVANNA
(abbracciandolo) Oh, papà, perdonami!...
VOCE DI CRISTINA
Giovanna? Ma dove sei?...
GIOVANNA
(si svincola) Eccomi, eccomi!... (va via di corsa per la sinistra).
VOCI DEI TRE
Qui, qui!... Evviva! Segga qui!… No, qui!... (si batton le mani).
PRINCIPE
(resta per un po’ a guardare verso l’uscio d’onde è scomparsa la figlia, poi si volge dal lato opposto, pensoso, con lo sguardo nel vuoto, pieno di malinconia, indi si reca presso una delle librerie, l’apre e ne cava fuori una vecchia pergamena, che porta sulla scrivania, alla quale siede, appoggiandosi coi gomiti, la testa tra le mani e gli occhi sul documento).
SCENA XIV
Il Principe, il Servitore, Don Ignazio.
SERVITORE
(precedendo Don Ignazio) Il signor de Azeveño (si ritira).
PRINCIPE
(scuotendosi, con il suo solito sorrisetto stereotipato) Oh, bravo, cugino, accomodatevi.
DON IGNAZIO
Illustre signor Principe, ai suoi ordini.
PRINCIPE
Come avete detto?
DON IGNAZIO
Haju dittu: ai suoi ordini.
PRINCIPE
No, no, prima. Avete detto, mi pare: illustre…
DON IGNAZIO
Ah, illustre signor Principe.
PRINCIPE
Benissimo, andate pure via, perché non abbiamo altro da dirci.
DON IGNAZIO
(turbato) Comu, comu?
PRINCIPE
Precisamente, cosí… Poiché vi dispiace d’essere mio cugino…
DON IGNAZIO
(saltando su) Mi dispia… Ca chi dici, Principi? Accussí mi murtifica!
PRINCIPE
No, mio caro, siete voi che mortificate me! Vi chiamo cugino e mi date dell’illustre signor principe!...
DON IGNAZIO
Vossia vidi chi è… Finu a quannu non ci avrò fattu l’abitudini, non mi veni a versu.
PRINCIPE
È semplice, mio caro: Via l’illustre, via il principe, datemi del cugino e del voi, affettuosamente, da buon congiunto…
DON IGNAZIO
Sí, sí… Àvi ragiu… aviti ragiuni!...
PRINCIPE
Vedete, se non bastassero le notizie che abbiamo avuto fino a ieri, sulla nostra parentela, m’è venuto sottomano, stamattina, questo foglio di cronaca del quattordicesimo secolo (glielo mostra), ch’è di una chiarezza straordinaria. Ecco qua: parla della guerra intestina tra re Giacomo d’Aragona e suo fratello Federico, re di Sicilia, allo spirare del tredicesimo secolo e a un certo punto dice: (indicando sul foglio, che gli mette sott’occhi) leggete voi stesso.
DON IGNAZIO
(guarda il foglio, si aggiusta gli occhiali, ma non capisce nulla) Sarà in latinu anticu, immaginu… Sa… ju, si non è moderno…
PRINCIPE
(con un sorrisetto indefinibile) No, no, è in castigliano… Voi non conoscete lo spagnuolo? Io sí, per ragioni diplomatiche. Allora ve lo tradurrò cosí, alla brava: (legge) Assaliti da Blasco Alagona, nel cuor della notte, presso Giarratana i predoni caddero tutti in suo potere. Vi fur presi: – state attento – un Raimondo, duca di Falcomarzano e un Ignazio Caprera de Azeveño, conte di Mottacannata, suo cugino, che guidavano quella masnada (rimettendogli il foglio sott’occhi) Ecco, leggete: «su primo» Primo, in lingua spagnuola, corrisponde a cugino, su corrisponde a suo… Ora, se Raimondo di Falcomarzano è il mio antenato diretto, anche per la rispondenza del nome di battesimo, Ignazio Caprera de Azeveño, per l’identica ragione, è il vostro antenato in linea retta. Se erano cugini loro, siamo cugini noi pure: se Don Ignazio Caprera del milleduecentonovantotto era conte di Mottacannata, Don Ignazio Caprera di oggi, non può non esser tale!... Entrambi discendiamo da quel famoso condottiero che fu il conte d’Urgel, quello stesso che avete ammirato nel pregevolissimo ritratto che ho di là nel salone, opera dell’insigne pittore Salvatore Lo Forte.
DON IGNAZIO
(che ha seguito il Principe con interesse, commisto ora di stupore, ora d’ammirazione) Scusassi, princ… scusati, cucinu… ’Nta ’ssa pergamena c’aviti lettu, i nostri antenati di seicento anni fa, sono qualificati… predoni e condottieri di una masnada!... Non si tratta d’un erruri di stampa, per ipotesi?
PRINCIPE
(col solito sorrisetto impercettibile) Ma che errore di stampa!... Questo è un codice manoscritto!... No, vedete, cugino, bisogna intendere: Anzitutto certe parole non avevano, in antico, lo stesso valore d’oggi. Masnadiero, per esempio, voleva dire ben altro… Le cronache come questa, poi, erano scritte da persone al servizio di una delle parti. I baroni, a quei tempi, si dilaniavano tra di loro, per acquistare supremazia gli uni su gli altri; (dandosi tono) come noi, per esempio, che avevamo acquistata tanta potenza, da venire a conflitto armato e a patti con gli stessi re…
DON IGNAZIO
Caspita!
PRINCIPE
Si capisce che i cronisti della parte avversaria, avendole noi toccate e non potendo reagire, perché prigionieri, ci qualificassero predoni… Ma non crediate, veh, alla nostra volta, poi, le davamo agli altri e quando questi le avevano toccate, i nostri cronisti li qualificavano coi peggiori titoli. Poi si faceva la pace e si ridiventava tutti stimabili e segni d’ossequio… Del resto intendiamoci, un po’ predoni lo siamo stati tutti!
DON IGNAZIO
E chistu non pò pregiudicari?...
PRINCIPE
(c. s.) Pregiudicare, che? Se non ci siamo al mondo veri patrizi che non si discenda da predoni, o da soldati di ventura, ch’erano, presso a poco, la stessa cosa!
DON IGNAZIO
E siti… e semu divintati nobili?... Se lo dice lei… Si ’u diciti vui!...
PRINCIPE
Non lo dico io, lo dicono gli editti d’investitura, lo dice la Consulta Araldica, mio caro!
DON IGNAZIO
Quann’è accussí… (imbambolato). È ormai accertatu, dunca, ca sugnu conti?...
PRINCIPE
Senza alcun dubbio. Il Conte di Mottacannata siete voi, e Don Liborio Guasta non ha alcun diritto al titolo.
DON IGNAZIO
(accigliato) Cu’è, ’stu Don Liboriu?
PRINCIPE
È un signore di Valverde, che ha fatto istanza presso la Consulta Araldica, perché gli venga riconosciuto il titolo di conte di Mottacannata, non so per quali pretese di donne…
DON IGNAZIO
(turbato) Ppi carità, non ci facemu tràsiri ’i fimmini!... Primo capitolo: Le donne ereditano titoli? Iddu è un Guasta, non è un Caprera!... chi c’entra?
PRINCIPE
È logico. Avete dei congiunti di ramo diretto?
DON IGNAZIO
No.
PRINCIPE
E allora il conte di Mottacannata siete voi, di pieno diritto.
DON IGNAZIO
Ma scusassi, princ… scusati cucinu, ppi farimi riconusciri, chi divu fari?
PRINCIPE
Non avete nessuna carta di famiglia?...
DON IGNAZIO
Nenti! C’erano tanti carti, in casa di me’ patri!... Però con la calata del generale Sadriano, ca misi a saccu e focu menza Sicilia!... Ma scusati, ’sta carta c’avemu liggiutu…
PRINCIPE
Già, ma è mia, non è vostra. Porta i segni del mio archivio… Non possedete alcun cimelio?...
DON IGNAZIO
Comu?
PRINCIPE
Cimelio: codici di famiglia, medaglioni, miniature, pergamene, rami antichi, oggetti preziosi che illustrino i vostri antenati?...
DON IGNAZIO
Nenti, nenti! Tuttu distruttu dalla calata di Sadrianu!
PRINCIPE
(trattenendo a stento il riso) Bene, bene, non ve ne date pensiero. Andando a Roma farò una capatina alla Consulta Araldica…
DON IGNAZIO
Vi ha delle influenze?...
PRINCIPE
Faccio parte, della Consulta!...
DON IGNAZIO
Sí?... Ma allora è cosa fatta!... Principi, non sacciu comu ringraziarla…
PRINCIPE
Non dandomi piú del principe.
DON IGNAZIO
Ah, scusassi, scusati, cucinu. È logico, tra parenti i titoli sunnu inutili.
PRINCIPE
Lo stesso ch’io vi chiamassi conte… Una goffaggine!
DON IGNAZIO
Certu; e nell’aristocrazia, primo capitolo, niente goffaggine!
PRINCIPE
(sorridendo) Alla buonora! (si ode picchiare e chiedere).
SEGRETARIO
Permesso?
PRINCIPE
Avanti.
SCENA XV
Il Segretario e detti, poi il Servitore.
SEGRETARIO
(sulla soglia) Disturbo?
PRINCIPE
No, no, resti pure.
SEGRETARIO
(s’inchina davanti a Don Ignazio e va a sedere presso la sua scrivania dandosi ad ordinare delle carte).
PRINCIPE
(porgendo al Segretario la pergamena) Cavaliere, le affido questo documento importantissimo da mettere tra le carte che dovrò portare a Roma.
DON IGNAZIO
Ci jti prestu?
PRINCIPE
Spero partire domani… Se avrò regolato certi affari d’interesse… Vi parrà strano, caro cugino, ma sono in imbarazzi finanziarii.
DON IGNAZIO
Possibili? (si prepara a schermirsi).
PRINCIPE
Cosí come vi dico. La politica, spesso, mi distrae, trascuro i miei interessi e avviene che gli imbarazzi mi colgono alla sprovvista, come stavolta! (notando che Don Ignazio assume un’aria afflitta, di circostanza) Ma non me ne dispero, mio caro, e vi prego di non affliggervene! Sono cose del momento, non crediate!... Ne parlo appunto per questo, e con voi, che siete congiunto e siete discreto.
DON IGNAZIO
(facendo una smorfia delle labbra) Onoratissimu, cucinu… A mia mi putiti confidari qualunqui segretu… Sugnu ’na tomba!
PRINCIPE
(dopo aver studiato attentamente Don Ignazio, additandolo al Segretario) Ma guardi, cavaliere… Se non ci fossero indizii piú patenti, a rivelare la mia parentela con Don Ignazio, basterebbe questo suo tic nervoso! L’identica grimace della buonanima di zio Benedetto. Ricorda?... Mi par di vederlo!... Osservi, osservi il labbro destro…
SEGRETARIO
(con gli occhi su Don Ignazio, affettando meraviglia) Preciso!...
DON IGNAZIO
(da questo momento ripeterà spesso la grimace, con evidente compiacimento e ostentazione) Sa, lo faccio senza accorgermene…
SERVITORE
(dal fondo) Eccellenza, telefona Roma…
PRINCIPE
(approva col capo il Servitore, mentre dice al Segretario) Vada un po’ lei, cavaliere.
SERVITORE
(insistendo) Gabinetto del Presidente.
PRINCIPE
(alzandosi) Ah, no, stia! (muovendosi verso l’uscio di fondo) Scusate, cugino, vi lascio col cavaliere, un momento… (guarda il Segretario con intenzione e va).
DON IGNAZIO
Faccia tutti i suoi comodi… cucinu.
SCENA XVI
Don Ignazio e il Segretario, poi il Servitore.
DON IGNAZIO
(curioso) Scusassi, cavaleri, il Servitore ha detto: gabinetto del Presidente… Chi presidenti?
SEGRETARIO
(con semplicità) Del Consiglio dei Ministri.
DON IGNAZIO
Intimi, ah?
SEGRETARIO
Si figuri! (gli mostra un fascio di lettere intestate del Ministero degli Interni) Tutta questa è corrispondenza personale del Presidente!...
DON IGNAZIO
Chi soddisfazioni! (grimace).
SEGRETARIO
(con un sorrisetto amaro) Soddisfazione?... Di che? Ma non lo dica, signor conte!... È una rovina!... Si lascia sfruttare in tutti i modi, spende tutto il suo tempo, butta via i suoi quattrini a palate!... E poi, si sa, vengono i nodi al pettine!...
DON IGNAZIO
Posizione scossa, ah?
SEGRETARIO
Scossa?... No, questo no! Non regolare, non ordinata, ecco. (in tono confidenziale) Per esempio, ora, avrebbe bisogno di recarsi subito alla Capitale, anche per un affare suo, mi pare abbia detto, e non può, perché deve regolare certe pendenze ed è a corto di fondi… Sa, sua eccellenza, quando non ha il portafoglio ben provvisto, non viaggia…
DON IGNAZIO
Capisco, capisco! Eh, sa, nel nostro rango, primo capitolo, il portafogli ben imbottito!
SEGRETARIO
Ecco!... Ella lo comprende benissimo… (a voce piú bassa e con tono sempre piú confidenziale) Adesso, per procurarsi del danaro liquido, sta per commettere una sciocch… perdoni, volevo dire: un errore grave!...
DON IGNAZIO
Ppi carità, chi dici?...
SEGRETARIO
Grave, grave, le dico!... (accostandoglisi, a bassa voce e con aria grave) Vende!...
DON IGNAZIO
Vende?!
SEGRETARIO
E vende un oggetto sacro di famiglia, che è insieme un capolavoro d’arte!...
DON IGNAZIO
(grimace) Chi mi dici?!...
SEGRETARIO
È cosí, è cosí!... Io non ho autorità per impedirglielo, ma fossi in lei, signor conte, come congiunto…
DON IGNAZIO
Eh, veda, signor cavaleri, per quanto membri dello stesso casato, tra me e il Principe mio cugino non curri ancora quell’intimità…
SEGRETARIO
Che importa?...
DON IGNAZIO
Si vinni ppi bisognu, comu ci ’u pozzu impediri? Offrirgli un prestito, cosí, ex abructo, senza ca m’avissi fattu nessuna confidenza?...
SEGRETARIO
Mi pare che gliel’abbia fatta, or ora!...
DON IGNAZIO
Sí… Ma generica… generica, caru cavaleri!... Come arrischiari un passo simile, che potrebbe offendere la sua suscettibilità di vecchio patrizio?
SEGRETARIO
(convinto di dover cambiar tattica) Giusto, troppo giusto!... Peccato!... (c. s.) Sa che dà via?... Il ritratto di Don Raimondo d’Urgel!...
DON IGNAZIO
Il nostro antenato?!...
SEGRETARIO
Quello, quello!... Il capolavoro del Lo Forte: pel quale, tre anni fa, un antiquario di Roma, offrí inutilmente quarantacinquemila lire!...
DON IGNAZIO
(sgrana gli occhi) Tantu?!...
SEGRETARIO
Tanto! E ora sta per darlo per ventimila lire a un signore che è stato qui poco fa…
DON IGNAZIO
(malizioso) Due signori… Mi pari d’avirini vistu nesciri due…
SEGRETARIO
Precisamente, li ha visti anche lei? Ma uno è già ripartito; l’altro, quello che fa l’affare, è rimasto, e tornerà tra poco… Perché si tratta di questo, sa?... Io l’ho detto, ma lui non mi vuol credere! «Badi, eccellenza, che questo signore compra il quadro per speculazione, per farci un affare!». Si figuri, signor conte, che io so persino con chi è in trattative per rivenderlo!...
DON IGNAZIO
(avido) Caspita!... Ha già offerto in vendita prima d’acquistari?...
SEGRETARIO
Si capisce!... Quello acquista a colpo sicuro!... Lo rivende, Dio sa quanto, a un signore di Valverde…
DON IGNAZIO
(interrompendolo vivamente) Ca si chiama don Liborio Guasta, e per intrighi di donne…
SEGRETARIO
Non so, non posso fare nomi…
DON IGNAZIO
(convinto) È iddu, l’haju capitu subitu!...
SEGRETARIO
(persuaso di avere azzeccato) Non confermo e non smentisco… Insomma, un signore di Valverde che vorrebbe adornarne il suo salone…
DON IGNAZIO
(sorridendo con malizia e malignità) Ma chi saluni! Non nn’àvi saluni! ’U sacciu ju chi vurrissi fari capiri, acquistannu il nostro antenato!
SEGRETARIO
Io dicevo: Trattandosi di un cimelio di famiglia!...
DON IGNAZIO
(afferrandolo per un braccio) Scusi, scusi, chi dissi, cimelio?
SEGRETARIO
Sí, cimelio.
DON IGNAZIO
Ma i cimelii non sunnu le pergamene, le codici, le miniature, le casseruole antiche?
SEGRETARIO
E tutte le preziosità antiche!... Che piú prezioso del ritratto del capostipite? A parte il valore intrinseco del capolavoro d’arte, che consente di rivenderlo, sempre che si voglia, almeno il doppio di ventimila lire!...
DON IGNAZIO
(con cupidigia) Dici?...
SEGRETARIO
Diamine!... È quello che farà il signore che viene per acquistarlo.
DON IGNAZIO
Ma… È certu, lei, ca àvi ’stu valuri?..
SEGRETARIO
Un cimelio autentico, signor conte!
DON IGNAZIO
(grimace) Benissimu, prosiegua.
SEGRETARIO
Io ho finito, spetta a lei, adesso.
DON IGNAZIO
Lei mi dici che è anche un ottimo affare!... Sa, non perché vogghiu speculare supra ’u bisognu momentaneu di me’ cucinu, ma chiuttostu ca farlu un estraneo…
SERVITORE
(sull’uscio) Il signor Memmo Resta
SEGRETARIO
(guarda Don Ignazio con intelligenza, come per dire: «eccolo», e poiché Don Ignazio fa un gesto come per intendere «E ora come si farà?», fa finta di assumere lui la responsabilità di tutto e dice al Servitore) Fatelo passare nel salottino verde… e pregatelo d’attendere (poi, ritiratosi il Servitore, si avvicina a Don Ignazio e gli dice piano) Non perde tempo, don Memmo! (poscia, scattando) Riecco il Principe!... Per carità non mi comprometta!... (rivà a sedere presso la sua scrivania).
SCENA XVII
Il Principe e detti.
PRINCIPE
(rientra, in abito da passeggio, con aria d’uomo preoccupato) Cavaliere, mi metta in ordine tutte le mie carte.
SEGRETARIO
Parte?
PRINCIPE
Domani, a tutti i costi. E perciò la prego di recarsi subito da quel tale… Ha capito?...
SEGRETARIO
(sbirciando Don Ignazio, con intenzione) Se mi consente, non è necessario, perché quel tale sarà qui, certamente, tra poco.
PRINCIPE
E se per caso non venisse?... O se venisse senza l’occorrente?... Io non potrei piú partire… Ci vada, ci vada!...
DON IGNAZIO
(risoluto) A meno chi – scusati cucinu – (grimace) A menu chi l’occorrente non lu truvassivu cca, subito.
PRINCIPE
Non capisco.
DON IGNAZIO
Mi spiegu megghiu. Primo capitolo: tra parenti comu nui, ci devi essiri una certa cunfidenza?
PRINCIPE
Certo.
DON IGNAZIO
E chi confidenza è, la vostra, scusati, chi avennu bisognu di dinari – cosa ca succedi a tutti, anche al Gran Sultano – vi rivulgiti a un Memmo Resta, mentri c’è cca vostru cucinu? (grimace).
PRINCIPE
(al Segretario, severo) Cavaliere, che discorso è, questo?
SEGRETARIO
(fingendo di supplicare Don Ignazio con lo sguardo) Sa, eccellenza, il signor conte parla per induzioni…
DON IGNAZIO
Pozzu testimoniari che il cavaliere non mi ha detto niente! Io, però, ho capito tutto.
PRINCIPE
Ma… dato che abbiate compreso: io vendo, non chiedo prestiti.
DON IGNAZIO
E chi parla di prestiti? Mancu ppi sonnu!... Vui vinniti?... Ed io compro!... E il ritratto dell’Urgel, o per meglio dire il cimelio, resta in famiglia (guarda il Segretario – che approva col capo – con aria da trionfatore) Vintimila liri vi duna don Memmu e vintimila vi nni dugnu ju!... A parità di condizioni mi putiti preferire!
PRINCIPE
Quand’è cosí, non voglio farvi torto (al Segretario) In tal caso, cavaliere, lei si deve recare ugualmente da quel signore, per pregarlo di non disturbarsi.
SEGRETARIO
Perdoni, eccellenza, don Memmo è già di là, che attende, in salottino verde.
PRINCIPE
(fa finta di conturbarsi).
SEGRETARIO
Ma non si dia pena, e lasci a me la cura di sbarazzarla di lui.
DON IGNAZIO
Bravu, cavaleri. Gli faccia comprendere che la cosa si è aggiustata in famiglia, senza ricurriri a genti estranei (grimace). Il casato dei Falcomarzano e dei Caprera è grande.
PRINCIPE
Benissimo. Il ritratto di Don Raimondo d’Urgel è vostro, caro cugino. Prima di sera ve lo farò tenere a casa.
DON IGNAZIO
No, fatemelo staccare, si non vi dispiaci…
PRINCIPE
È già staccato e posto nella custodia… Doveva viaggiare!...
DON IGNAZIO
Benissimu! M’ ’u portu ju stissu (notando la meraviglia del Principe e del Segretario) Di un cimelio di famigghia, cumpatitimi, sugnu gilusu chiú di vui, e non permetterò mai che passi per mano di mani profane! Scusati, cugino, siamu sicuri ca è cimeliu?
PRINCIPE
Eh direi!... Cavaliere, faccia il favore di consegnare il ritratto al conte (Murrita va per l’uscio di fondo e torna subito dopo con un ritratto chiuso in una custodia di legno bianco di Moscovia, con maniglia d’ottone, di dimensione 0,90 X 0,60).
DON IGNAZIO
(va incontro al Segretario, prende la custodia e toglie da essa un ritratto intelaiato, rappresentante un truce guerriero catalano del XIII secolo. L’osserva da tutti i lati e con tutte le luci) Stupendu, non c’è chi diri!... Stupendu! Guerriero, ah?
PRINCIPE
(al Segretario) Accompagni il conte a casa e regoli lei.
DON IGNAZIO
Non occurri ca m’accumpagna, cucinu (grimace) Credo di poter regolare seduta stante (trionfante mette la mano in tasca e ne toglie un enorme portafogli, dal quale tira fuori una fede di credito).
PRINCIPE
Caspita, cugino, siete un banchiere!...
DON IGNAZIO
Ppi carità, cucinu, non mi mortificati. Mi trovu, giustu giustu, una fidi di creditu supra ’u Bancu di Sicilia ppi ventiduemila e cincucentu liri… Si vuliti, intantu, farimi du’ paroli di ricevuta…
PRINCIPE
Troppo giusto (scrive, applica le marche da bollo e firma).
DON IGNAZIO
(frattanto rimira il ritratto e con molta cura lo rimette in custodia. Egli tiene sempre in mano la fede di credito).
PRINCIPE
(porgendo la ricevuta) Eccovi.
DON IGNAZIO
(la prende, l’esamina e consegna, alla sua volta, la fede di credito) Ci sarebbe, no, anzi c’è, un restu di dumila e cincucentu liri…
PRINCIPE
Cavaliere, dia al signor conte duemila e cinquecento lire di resto…
SEGRETARIO
(consegnando a Don Ignazio due biglietti da mille lire) Mi duole, ma non ne ho che duemila.
PRINCIPE
Non monta, le rimanenti, mio cugino, gliele regala per il disturbo…
SEGRETARIO
(subito) Signor conte, le sono obbligatissimo!
DON IGNAZIO
(a denti stretti, mentre piega i fogli da mille e li mette accuratamente in portafogli) Di che, cavaliere!... (poi va verso il Principe che gli tende la mano).
PRINCIPE
(sottovoce, stringendo forte la mano di Don Ignazio) Noblesse oblige, caro cugino!...
DON IGNAZIO
(ridendo affettatamente) Primo capitolo… oblige…! (prende il ritratto in custodia per la maniglia, e si avvia verso la comune, mentre il Segretario si inchina al suo passaggio).
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