Problematica e stato della ricerca
Lo studio del rimpatrio dei cittadini svizzeri negli anni della Seconda guerra mondiale presenta vari aspetti interessanti. In primo luogo esso mette in luce il legame tra l’emigrante e il paese d’origine, mediato dai consolati e dalle legazioni nei rispettivi paesi di adozione. Nel periodo e nel contesto considerati, l’Italia degli anni Trenta-Quaranta segnata dall’emergere dell’antisemitismo e dei decreti razziali e dal conflitto bellico, questi legami assumono tanto più valore poiché le autorità elvetiche, in misura più o meno intensa, interven- nero per proteggere i propri concittadini all’estero e per riaccoglierli quando la loro permanenza divenne impossibile. La progressiva evoluzione della situazione internazionale rese necessario definire una terza via di intesa tra la legislazione elvetica e italiana, ad opera delle personalità e degli enti che ruotavano attorno all’emigrante, ovvero della Divisione degli affari esteri a Berna (d’ora in poi DAE) e dei Consolati generali di Svizzera da un lato, del Ministero degli Interni e dei Capi di Provincia dall’altro. Ciò si verificò per il caso delle rifugiate ex-svizzere che godettero di particolari condizioni di accoglienza, come per il caso degli svizzeri di fede o discendenza ebraica che si trovarono in Italia e nei paesi occupati dai nazionalsocialisti dove la legislazione in vigore si basava su norme di stampo razziale, e infine per il caso dei concittadini residenti in Italia centrale di cui era previsto il rimpatrio forzato. Le trattative diplomatiche per preservare le colonie svizzere all’estero approdarono quindi a delle risoluzioni pratiche grazie anche alla necessità, per il governo fascista, di salvaguardare la colonia italiana residente in Svizzera. Un secondo elemento di interesse riguarda il ritorno dell’emigrante che comportò anche l’organizzazione dei trasporti, la salvaguardia e il trasferimento dei suoi beni, come pure la creazione di reti assistenziali e di strumenti di riadatta- mento e reintegrazione, tra l’altro attraverso il lavoro. Non da ultimo, vi è da considerare il lascito del loro soggiorno all’estero, ovvero l’«importazione» di idee e abitudini straniere nella patria d’origine.
Il tema del rimpatrio degli svizzeri all’estero è stato finora oggetto di poche analisi e per lo più integrato in studi di carattere generale sulla politica d’asilo e sui rifugiati in Svizzera durante questo periodo.[1] In modo più mirato, Sabine Hofmann e May Broda hanno affrontato il tema dei rimpatriati dalla Germania e dalla Prussia, che tornarono non per motivi razziali ma piuttosto per fuggire dalla guerra.[2] Uno studio però complessivo sul tema è tuttora inesistente, forse anche per la difficoltà di collegare le fonti di informazione sui rifugiati e definire