anni era ora di tornare a casa. È stato difficile abituarsi alla vita di paese. La prima settimana mi sembrava di stare in paradiso perché non lavorare [.] poi però abituato a tutti i giorni di lavoro non sapevo come arrivare a sera.» In altri casi, il ritorno non ha coronato i sogni di una vita: «E ci sono emigranti che sono tornati in Italia e poi sono tornati in Svizzera e questo è stato difficile perché prima hanno spostato tutto, la pensione e tutto il resto, per vivere in Italia, poi hanno tribolato per tornare in Svizzera. Non si sentivano appagati in Italia.»
L’isolamento e il senso di precarietà che per tanto tempo hanno caratterizzato la vita all’estero, sono rimasti anche nel rientro: «Sandro adesso non è che abbia più di tanto nostalgia dell’Africa no: soprattutto qui si sente un po’ isolato, un po’ solo», ha detto la moglie tedesca di un emigrante di Onore, nel Bergamasco, rientrato dopo molti anni, mentre un altro afferma: «[N]on so ancora come mi trovo qui a casa, adesso che siamo tornati. Devo ancora capire. Non è facile dopo tanti anni. Ho sempre l’impressione di dover ripartire, mi sembra ancora come quando eravamo qui in vacanza. Siamo cambiati, sono cambiato. Dopo tanti anni all’estero cambi carattere, modo di essere.»[32]
Le ricerche sulle modalità migratorie e sulla conseguente elaborazione identitaria dei biellesi hanno in più di una occasione indotto a riconoscere precoci caratteri transnazionali nei loro comportamenti e nella loro percezione di sé.[33] La sicurezza con cui i rappresentanti di questo gruppo hanno mostrato di sapersi muovere per il mondo, all’interno di uno spazio sociale transnazionale delimitato solo dalle opportunità offerte dal mercato del lavoro, non appare come un’esperienza generalizzabile. Il risultato dell’assenza protratta per molti anni e spesso per tutta la vita lavorativa evoca in altri casi piuttosto immagini di disagio diffuso. Alla moltiplicazione delle patrie e delle case, al bilocalismo e al plurilocalismo, cui oggi ci si riferisce prevalentemente con il termine di transnazionalismo, sembra in molti casi opporsi la perdita di punti di riferimento. Al sentirsi a casa in più di un luogo si contrappone la percezione di essere sempre fuori luogo, come l’ebreo evocato da Stefano Levi della Torre, e quindi di aver perduto anche la terra di origine.[34] Ad una identità deterritorializzata, costruita su meccanismi analoghi a quelli identificati da Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc, è sembrato contrapporsi in molti casi un appannamento dell’identità.[35]
Tuttavia ci si può chiedere se, come negli emigranti inglesi in Australia indagati da Hammerton e Thompson, l’aver speso parte della vita in luoghi tanto distanti e diversi abbia prodotto un allargamento degli orizzonti personali e un sentimento di avere sperimentato in modo più ricco le possibilità offerte