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Page:Labi 2009.djvu/55

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la sua volontà di servirsene per rendere più remunerativa una permanenza che continuava a considerare temporanea: al fratello scriveva infatti di raggiungerlo «per 5 o 6 anni così comperiamo una farma assieme e facciamo qualche sacrificio di qualche anno e ce ne torniamo in Italia».[18] Un altro emigrante, nel 1938, calcolava in quattro o cinque anni il tempo necessario per rendere produttivo l’investimento che aveva fatto aderendo ad un piano di sviluppo agricolo del Queensland. Anche i trentini che scelsero di dirigersi in Australia riadattarono per questi viaggi il modello tradizionale della stagionalità, solo dilatandolo cronologicamente, per cui la differenza stava nel fatto che «la stagione durava un numero più o meno lungo di anni».[19] Fra le altre, la storia di Alessio Brida appare emblematica: «[V]enni in Australia per guadagnare un po’ di denaro allo scopo di aprire una bottega da ebanista [...] - mi dissi -tse vado in Australia e ci resto per tre quattro anni risparmiando metà della paga, al mio ritorno potrò comprare dei macchinari.»[20]

Si tratta di atteggiamenti non dissimili da quelli mostrati dagli imprenditori edili di Roasio - un paese biellese -, che negli ultimi decenni dell’Ottocento hanno costruito le loro rotte migratorie preferenziali verso i paesi del golfo di Guinea, e per questo comunemente conosciuti come «gli africani». In una intervista dell’inizio degli anni Novanta, alla domanda sul perché fosse tornato definitivamente dall’Africa, dove era emigrato nel 1957, Bruno Ferretti dichiarò: «Quando uno va in paese straniero per lavorare, va per la convenienza. Non ci lasciavano più portare a casa i nostri risparmi. Noi eravamo là non solo per costruire ma anche per trarne profitto.»[21] Le sue parole trovano eco ancora nel 2004 in quelle di Beniamino Scandella, di Onore, in Val Seriana, provincia di Bergamo: «non ho mai pensato di fermarmi per sempre all’estero, no, no mai. Anche perché i miei cantieri erano sempre fuori, isolati. Sarebbe stato diverso se avessi lavorato nelle città [...] ma così noi vivevamo del lavoro e basta. Nei paesi arabi vivevamo tra gli uomini, nessuno aveva giù la famiglia.»[22]

Per quanto riguarda questa prima parte è già possibile tratteggiare alcune considerazioni complessive. L’andamento circolare dell’emigrazione si è mantenuto anche nell’esodo transoceanico, riadattando la scadenza stagionale a cadenze pluriennali e non sembra esserci stata una minore propensione al ritorno dalle mete più lontane, ma semmai il contrario. Molte fonti, come abbiamo osservato, ci indicano invece che tale modello è stato applicato, anche molto precocemente, su mete migratorie assai distanti, che proprio perché tali, in quanto percepite come luoghi inospitali, non vennero mai prese in

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Histoire des Alpes - Storia delle Alpi - Geschichte der Alpen 2009/14