Page:Labi 1998.djvu/191

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tanti del villaggio i margini entro cui operavano ancora regole, consuetudini e prerogative della propria comunità: una soglia, oltrepassata la quale si inoltravano in spazi incerti, non familiari e meno protetti dove venivano meno i sistemi di sicurezza e si diventava emigranti e foresti.

Tanto appaiono stabili, impenetrabili e invariabili nel tempo i confini della comunità, tanto vengono considerati estranei, precari, e vulnerabili i confini tra due stati sovrani, anche quando seguono il tracciato di frontiere ecologiche e fisiche o quando, come nel caso della Repubblica Veneta, si mantengono pressoché inalterati per tutta l'età moderna. O, perlomeno, sembra essere messo continuamente in crisi quel concetto di frontiera come elemento ordinatore e repulsivo tra spazi e organismi statali contermini. Mentre scoppia la prima guerra mondiale, il vecchio Tònle Birtan, descritto da Mario Rigoni Stern, uomo di confine, montanaro, pastore, contrabbandiere, ambulante durante la latitanza, guardando gli aerei che sorvolano la sua valle dirigendosi oltre le linee nemiche, si chiede perplesso se per lui o per la sua gente la frontiera fosse mai esistita, o se piuttosto quella linea di demarcazione immaginaria e misteriosa esistesse solamente in quanto presidiata da gabellieri da corrompere e «da gendarmi da evitare».[7]

Le riflessioni di Tònle Birtan riconducono a quell’ insieme di valori, di convincimenti individuali e collettivi che sopravvissero a lungo nella mentalità e nei comportamenti delle genti di montagna, forme residuali del passato, per molti aspetti estranee e antagonistiche rispetto alla razionalità e alle logiche economiche. Basterebbe richiamarci, per fare un esempio, al concetto di proprietà, ormai acquisito alla fine dell’800 nelle norme giuridiche e nel pensiero economico come possesso «pieno, assoluto e inviolabile». Nonostante fosse ormai da decenni concluso il processo che aveva portato alla privatizzazione dei demani collettivi nei comprensori delle Prealpi cadorine e carniche - segnalò un collaboratore per la grande inchiesta agraria Jacini - sopravviveva la consuetudine, radicata nella mentalità popolare, di considerare quelle selve ancora d’uso comune, aperte allo sfruttamento di tutte le famiglie del villaggio, sulla base della antica credenza «che i frutti della terra, specialmente quelli che non derivavano dalla fatica dell’uomo, fossero destinati a satollare i più poveri» e quindi potevano essere utilizzati senza commettere alcun reato.[8]

La frontiera fu soprattutto luogo di congiunzione, di espansione e di scambi, fonte di attività che improntarono la vita materiale e gli orizzonti culturali delle popolazioni frontaliere. L’andirivieni di carri, di merci e di uomini lungo

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HISTOIRE DES ALPES - STORIA DELLE ALPI - GESCHICHTE DER ALPEN 1998/3