Ore di città/40

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Ore di città/40  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Evocazione[edit]

Ai funerali nessuno ci bada; chi si leva il cappello, chi saluta romanamente, ma è tutto lì. Infine è la morte degli altri.

Ma la cornetta della Croce Rossa mette un brivido; fa voltare la gente, la ferma, la tien coll'animo sospeso... largo, largo... è la disgrazia anonima che passa.

Passa impetuosamente. Solca, divide il traffico cittadino, sinistro fuoribordo. Un'onda d'ansietà investe i passanti. Un uomo è caduto. Tutti che lo vedono - ombra lunga e scura al di là del vetro smerigliato - pensano a quell'uno, a quell'uno di noi, disteso, supino.

La nostra angoscia è nell'incertezza. Poter subito sapere, subito subito come fu e perché, tutto di quell'infortunio. Per una ragione o per l'altra molti direbbero:

«A me questo non poteva capitare»... e si sentirebbero sollevati. Ma così tutte le possibilità gravano su tutti, e nessuno è escluso.

Per quanto via Francesco Sforza sia all'infuori del mio itinerario, pure vi gravito sovente, ronzo di preferenza fra l'Accettazione e la Sala Mortuaria. La strada era ben più caratteristica anni fa col Naviglio. Di notte poi era tragica con quei fanali rossi della Guardia; uno si rifletteva - striscia sanguigna - nell'acqua nera. In una di quelle notti, appoggiato al parapetto di pietra e guardando giù, ho sognato e m'è parso che il vecchio Naviglio, giunto ormai alla sua ultima ora, destato di soprassalto da un'autolettiga in arrivo, dicesse cantando così:

Esuss quella trombetta! Nanca pu
Sul fà della mattina poss dormì!
D'ora in ora l'è chì - come ona sveja!
Me seri giust carpiaa, voltava via
Penna a penna on'ideia...
E tracch, quella trombetta besiosa!

Fra via San Barnaba e l'Ospedale adesso non c'è più niente; il famoso tomboletto girevole dove i bimbi dell'una o dell'altra venivano qui deposti per passare di là, io non l'ho mai visto. Mi ricordo invece, lunghesso il Naviglio, di faccia all'Ospedale, basso e tetro, il muro dove la finestrella cieca si apriva.

La Roeuda è scomparsa. Un eloquente registro madre e figlia ha preso il posto dell'antica e discreta amica dei peccati d'amore. Sola, per qualche anno in questa medesima via, oltre quell'acqua muta, cupa, lenta come il tempo che passa, le sopravvisse nella sua nudità originaria una tragica sorella: la Brugna.

Vennero poi giorni migliori e anch'essa la Casa Mortuaria si ornò di un vestibolo, di una Sala dolenti, dilatò le finestre alla luce; non fu più quella.

Ma nei tempi andati quando c'erano tutt'e due di qua e di là dal Naviglio per l'amore e per la morte, le compagne del povero si guardavano e si capivano. L'una sempre le notti brillava, l'altra, di quando in quando, a un richiamo... tricch... tracch... Deo gratias... girava... Deo gratias... con un mezzo giro, fra le braccia della Roeuda ecco una creatura iniziava il suo triste cammino, muoveva per il mondo senza conforto. Deo gratias... e in questa via, ma di là da quest'acqua muta, cupa, lenta come il tempo che passa, era infine la mèta raggiunta. Fra le squallide mura della Brugna la creatura affranta riposava nell'ultima sosta. E la Roeuda e la Brugna le pie figliuole della Cà Granda per anni e anni filarono così - silenziose Parche - la vita di tanti poveri. L'una li accoglieva ignoti e li affidava al Padre comune, Iddio; l'altra li componeva stanchi per renderli poi alla comune Madre, la Terra.