Ore di città/36

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Ore di città/36  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

«Sì, cara»[edit]

La loro felicità umilia la mia solitudine.

Dalla Spagna alla Cina il mondo sanguina e divampa; ma loro tubano graziosamente: «Ti piace la semolina?»

«Sì, cara».

La Rita dice al suo Vassilli:

«Noi vorremo avere sempre dei fiori nella nostra casetta. Magari due, magari uno soltanto se non potremo di più... un mazzolino di viole... un garofano... una dalia, secondo la stagione ma un fiore l'avremo sempre... vero?» «Sì, cara».

Il giorno del fidanzamento la Mina, la Pina e la Tina, le camerierine del primo, del quarto e del quinto piano sono venute lì coi loro gentili omaggi floreali. La Rita le ha abbracciate e baciate. La Mina contempla l'appartamentino in festa ed esclama: «Che belessa! Che belessa!» Verso sera è arrivato da Sciangai un telegramma per Vassilli. È dei suoi che son là e porta buone notizie. Gli è stato offerto in un cestino ornato di verde e con una rosa. La Pina che è una ragazza sentimentale giura di non voler tornar mai più al suo paese ove le nozze si festeggiano al grido di «Viva la sposa, porca vacca!» La rivoluzione e gli strascichi della guerra hanno portato via tutto a tutti e due ma perché non sperare ancora dacché si amano? L'amore è nella vita come la poesia è nell'arte: vince tutto! Qualcosa s'è salvato dei vecchi splendori, per esempio questo tavolo impero colle gambe alte e sottili, laccato di bianco e coi fregi d'oro in foglia che non stinge. Ma dove è andato lo specchio? Ah sì! è di là in camera da letto. Sul tavolo c'è una fotografia della bella villa in Brianza in stile del Piermarini e alla quale questi mobili appartenevano... Chi non ha più niente ha tutto il mondo per sé. I beni della terra sono zavorra, tengon giù. Perché non andare al Marocco? O al Capo di Buona Speranza? O al Brasile?

«... o, magari, potremo anche restar qui!»

«Sì, cara».

Dopo pranzo Vassilli si mette al piano. La sua Rita gli è vicina colla scusa di voltar le pagine. Il verticale cigola come un carretto. Bisogna ungergli il pedale. C'è chi crede che il sapone vada meglio dell'olio. Arriva una penna di cappone intinta nell'olio della macchina da cucire. Chopin riprende il suo pianto. Piange solo; s'è rifugiato quassù al quinto piano, in questa cameretta vicino a due innamorati, si è stretto a loro che possono comprenderlo ancora. Di fuori c'è il mondo nuovo agonistico e sportivo, estraneo, insensibile al pianto dell'uomo solo. Oggi tutto è in regime di masse; camionate di gitanti e torpedoni di dolenti! Anche le malattie si adeguano ai tempi. La romantica tisi dei musicisti, dei patrioti e dei poeti ha ceduto il posto al cancro degli industriali.

In silenzio, raccolti intorno al pianoforte, i cinque invitati sembrano un gruppetto di cospiratori. Il loro atteggiamento raccolto, dimesso e quasi arcigno è antagonistico e di muta riprovazione degli sgargianti esibizionismi artistici moderni. Nessuno mi leva dalla testa che il gran pubblico accorre ai concerti degli assi della tastiera colla stessa mentalità colla quale si stipa negli stadi alle partite di calcio.

A loro interessa il funambolo, la musica vien dopo, quando viene. Il concertista medio, l'esecutore attento, l'interprete diligente che presenta gli autori senza sopravalutarli ha finito il suo ciclo. Cambi mestiere. Il notturno che si inquadra nella finestra presenta la morta tetraggine dei cortili interni di queste case di civile abitazione. I servizi! I servizi!

La Rita guarda il suo Vassilli amorosamente... le cucine... le scale... i gabinetti... i gabinetti... ahimè! so quanti sono. Trentasei!