Ore di città/32

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Ore di città/32  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Abbaini[edit]

Prima che li buttino giù, andate a vederli. Sono davanti all'Ospedale e ne guardano - tutti in fila - la facciata color lunedì. (Per chi desidera istruirsi dirò che il color lunedì è il colore dei disastrosi effetti delle libazioni della domenica!)

Tutti gli abbaini sono allegri ed anche questi non mi sembran punto rattristati da una vicinanza così poco lieta. I tetti delle case portano gli abbaini come un ornamento; li offrono al sole del mattino, son sempre giovani anche se il resto della casa è decrepito.

Il visitatore solitario che si inerpica su su per la ripida scaletta oltre l'ultimo piano, se sospinge un usciolo e mette il capo in una di quelle linde stanzette, ha di che far pace colla trista umanità...

...quand'ero studente all'Accademia e vi frequentavo i corsi di filosofia, ebbi per cliente il bidello. Costui, sapendomi addottorato in legge, mi affidò una pratichetta. Dovetti dunque recarmi, munito di una carta, in via Ospedale per raccogliere una firma.

Il bidello m'aveva detto:

«La stà in su on abbain, del rest basta ch'el ciama de la sciora Savina».
Difatti la portinaia del dodici mi spiegò:
«Lu ch'el vaga sù fin ch'el troeuva scal, poeu l'è el terz uss in su la corridora».
«Ma se la gh'è minga?»
«La gh'è semper».
«Permesso?...»
«Avanti!»

La sciora Savina era a letto perché inferma, da anni, come mi disse poi. Le spiegai il motivo della mia visita e le feci vedere la carta, ma la vecchietta concluse:

«Mi gh'oo minga d'incoster» però soggiunse: «Ch'el proeuva dalla Delina chi, al primm uss innanz...»

La Delina stava mettendosi il cappello per uscire ma se lo tolse e accorse subito:

«Nonnetta... nonnetta!...»

La bella ragazza - lo vidi subito - era di casa. Accarezzò la vecchietta, le accomodò il guanciale... Aveva l'inchiostro, sì, ma non il pennino. La sciora Savina doveva firmare una carta! La notizia corse per il corridoio. Altri usci si aprirono; si riunì finalmente il necessario, la cannuccia, il pennino e l'inchiostro, ma all'atto della firma la sciora Savina confessò di non saper scrivere. Appose così a piè del foglio, quale assenso solenne e quasi sacro al chirografo, una croce, convalidata dalla sottoscrizione di due testi capaci e degni di fede: La Delina modista e el scior Carlo chierico a San Bernardino dei Morti... ... Vita beata di quel piccolo mondo che nulla possiede e nulla chiede! Colonia Libera che si accampa coi gatti randagi, coi vasetti di fiori, coi canarini delle gabbie al disopra dei tetti in transito fra la terra e il cielo! I grandi avvenimenti che sommuovono i popoli non turbano la pace degli umili. Gli eserciti della Patria in un giorno di maggio sfilano fra deliranti entusiasmi per le vie della città con le bandiere al vento e con le musiche in testa! La tremula vecchietta uscendo dal salumiere li guarda e chiede: «Cossa gh'è?... cossa gh'è?...»

«Gh'è la guerra! La guerra!»

«Oh pover fioeu...» commenta e tentenna il capo.

Duri anni passano, anni d'ansia, di privazioni, di lutti ma finalmente, una sera di novembre, una gran folla invade le strade e le piazze e canta e inneggia e la città s'avviva di gioia e di lumi! La vecchietta dell'abbaino vive ancora, ma più curva dopo tanti stenti, si tien rasente ai muri per non esser travolta da tutta quella gente che corre... che corre... A un canto di via si incontra col suo vicino, el scior Carlo, e gli dice:

«El ved?... el ved?... ringraziemm el Signor!»

E con lui entra in chiesa.