Ore di città/26

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Ore di città/26  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

I due tabaccai[edit]

Il solito vigile vien dentro per la solita contravvenzione. Verbalizza, poi legge il verbale. L'altro lo lascia scrivere, lo lascia leggere e infine tranquillamente gli osserva:

«Verament...»
«Cosa?»
«... verament, lù l'ha scritt 'Maggioni' ma el Maggion l'è dessora».
«Ma lei... non è Maggioni anche lei?»
«Mi, no».
«Ma lei non è fratello di quello che è disopra?»
«Mi, no».
«E allora, chi è lei?»
«Mi, son mi!»

Il verbalizzante corregge lo scritto e intanto l'altro gli spiega:

«El ved, num, fina de fioeu, semm semper staa insemma tant che a mi me disen el Maggion, ma el Maggion l'è quell'alter...»

Ritengo che il vigile non fosse pratico di facce. Non sapeva l'urbano che tutti nascono con una faccia qualsiasi ma che poi d'anno in anno la faccia d'ognuno si va modificando, plasmando tantoché finisce coll'essere inequivocabilmente la faccia dell'uomo che la porta, anzi del nome del suo proprietario. Nei primi tempi della vita non ci son che facce al portatore, poi diventano nominative. Così quel vigile doveva sapere che al scior Maggion non può che spettare un bel faccione rotondo, deciso nei lineamenti ma bonario con due baffoni neri e spessi come le grosse virgole d'inchiostro di china sui vecchi istrumenti. La faccia del scior Maggion è la faccia dell'uomo probo che ha lavorato, del galantuomo che adesso ha un fior di licenza d'esercizio di bar e tabaccheria su un corso importante; ma l'altra, l'altra è biondiccia, attonita, poco espressiva; non ha le stigmate del maggionismo. Se i due tabaccai siano o non siano soci in commercio, ciò non interessa. Bella invece ed esemplare è la loro fratellanza d'armi nelle battaglie della vita.

La faccia attonita e inespressiva si anima qualche volta ed anche s'irradia ricordando cose di trent'anni addietro. Lavoravano assieme i duu Maggion per i caffè e per i bar al banco e ai tavolini, cameriere e piccolo. Non si poteva assumer l'uno senza l'altro, se uno era licenziato anche il compagno se ne andava. Oggi sono due ostriche in un guscio. Non l'abbandonano mai la loro tabaccheria per nessun motivo. L'uno dei due perlomeno c'è sempre.

El Maggion, quello vero secondo lo stato civile, mangia nel cassetto. Gli portano il piatto colla pietanza e lui per non metterlo proprio sul banco in vista di tutti, apre il cassetto e lo infila dentro. Mangia così in piedi e serve i clienti fra un boccone e l'altro. Gli portano di solito roba in umido e qualche volta la pasta asciutta.

El Maggion d'elezione non si è allontanato dal negozio nemmeno il giorno delle nozze. S'è sposato la mattina e il pomeriggio era già lì.

«Ma com'è! E la sposa?»
«L'è a cà».
«Ma e lù l'à lassada inscì?»
«Mi son chi, cara lee, ghe voeur alter!»
È un semplice.
Una volta gli rubarono tremila lire di marche sotto il naso:
«Parlavi con vun... la colpa l'è mia... ma eran minga gent del mestee... i han vist lì e i han portaa via...»
La sera le signorine degli uffici intorno vengono in Privativa per i francobolli. Una gli chiede uno spillo:
«Che la toeuva».
La sera dopo con degli altri francobolli alla stessa signorina el Maggion dà un altro spillo.
«On guggin? a mì? Perché?»
«Ma lee ier la m'ha minga domandaa on guggin?»
«Ier, sì ma incoeu, no».
«Che le ciappa... che le ciappa... gugitt, basitt!»
E sorride.

El Maggion, quello giusto, è seriissimo. Vicino a un tavolo, in silenzio, segue le fasi di una scopa. Se capita che i giuocatori siano in tre allora el Maggion si siede anche lui e fa il quarto.