Ore di città/25

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I miei mesi[edit]

I miei mesi sono questi. Cominciano ora. Sono agosto e settembre. Sono i mesi delle griglie chiuse, sempre chiuse perché le famiglie agiate sono andate in campagna a villeggiare. Amo le domeniche estive per i treni popolari che si portan via dalla città un numero sterminato di gente e la lasciano vuota, vuota come quando nell'ottobre del diciotto mezza Milano era a letto coll'influenza. Vi ricordate di Pinocchio che sognava una settimana composta di sei giovedì e di una domenica? Ebbene; io vorrei che non ci fossero che sabati fascisti. Mi chiudo dentro, anzi mi asserraglio dentro sprangando l'uscio di legno. Non rispondo nemmeno al telefono quando suona. Mi delizio di solitudine, mi beo di silenzio. E il sole se ne va e la sera cala. Questa è l'ora biblica delle passeggiatine del Padre Eterno. Usciva Dio Padre dal Paradiso a godersi i tramonti sereni sulla Terra e si incontrava coi Patriarchi e s'intratteneva a discorrer con loro seduto su un tronco d'albero o su una pietra. Consigliava, comandava. Invece del Padre Eterno vedo apparire sullo sfondo del giardino nel riquadro della finestra la faccia di un collega. Si ferma, mi porge un giornale e mi dice:

«Sono richiamato!» Gli rincresce un po' per la divisa che non ha più e che deve rifare: «Sa, con questi tempi e soltanto per venti giorni!» Ma io rimango per ragioni di età e di altri guai. Qui sono come sepolto. Tutti gli anni si assomigliano. Mi accorgo che passano solo dal cammino dell'edera che a poco a poco si spande sul muro della vecchia casa a destra della mia. Lo scorso anno arrivava al primo piano, ora è al secondo. Incornicia tutte le finestre, salirà tra poco su su per le griglie chiuse che non si apriranno se non ai primi di ottobre. Agli ultimi di settembre, con quelle finestre rustiche invase dall'edera, col giardino un po' incolto, colle grandi chiome delle piante recline per l'autunno imminente, la casa sembrerà morta davvero, abbandonata da chissà quando... Vedrò qui, tra non molto, appesantirsi i pomeriggi d'agosto...: ascolta - dirò - piove... l'acqua d'Agost la rinfresca el bosch e la campagna, dopo quell'acqua, rivivrà lentamente, l'estate sarà sul morire. D'agosto si abbuia presto ma le sere non son belle, son fosche: Agost giò el so l'è fosch. A un trisillabo, segue un quinario e i due versi non si son sposati legalmente colla rima ma hin insemma inscì, vivono in amorosa amicizia col solo vincolo elettivo dell'assonanza. Ripetilo, ripetilo il distico melanconico e vedrai... ... Agost giò el so l'è fosch... ...vedrai che ti si anticipa la notte davanti agli occhi... Il popolo, quando crea, non ama né i versi giusti né le rime esatte. Lascia gli uni e le altre ai poeti di professione e costoro, qualche volta, cercano di imitarlo, si affannano a scoprire il segreto della metrica popolare che è un po' il segreto dei sentieri delle mandre e dei pastori. Ci sono, ma bisogna saperli scoprire e non perderli di vista perché a tratti scompaiono per riprender più in su. Al turismo letterario si consigliano le strade asfaltate e le carte del R.A.C.I. Su quelle e con quelle si va comodamente da strofa in strofa come da chilometro in chilometro. Luna fa rima con cuna e bella con stella.