Ore di città/18

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Ore di città/18  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Giorni d'esame[edit]

La bella signora del corridoietto sbocca in giardino e un po' contenta e un po' imbarazzata annuncia: «Paolo è promosso, la Vittoria è caduta in latino...»

La nonna si affaccia a una finestra del primo piano e commenta: «O santa pace cos'ha preso?» «Cinque».

Eviden:«Eh già!» La nonna si ritira in casa. Peccato! Le vacanze interrotte. Poi si affaccia di nuovo e chiede: «E gli altri punti?»

La signora, mentre si toglie il cappello, li dice a memoria come li ha letti sul quadro e termina con la votazione della condotta... «... condotta: dieci».

Proprio come me... savio, ma niente altro.

Il mio caro Preside, Colombi, me lo lasciava capire tutte le volte che veniva in classe a leggere le pagelle: «Tessa... Tessa... Debolino, debolino... però, condotta sempre dieci!» Quest'ottimo comportamento ha finito con l'essere la mia rovina nella vita. Gli scolari che hanno sempre dieci in condotta ritengo che abbiano infine un posto assegnato in del paradis di occh!

Però il Preside Colombi, nonostante lo scarso profitto, mi voleva bene lo stesso e si ricordava sempre di me anche quando ero passato dal Liceo all'Università. Allora al Beccaria c'era mia cugina Livia e il Preside, nel leggere le pagelle, si fermava al cognome e... «... Tessa, Tessa... - diceva - brava... brava... sorella di Delio!»

«No, signor Preside, cugina...»
«Ah... cugina, cugina... bene, bene...»

Che buon uomo! Dalle otto alle nove lo si vedeva sulla porta del Ginnasio con in testa il suo calottino ricamato in casa. D'inverno aveva il paletò nocciola buttato sulle spalle a mantellina e i mezzi guanti, d'estate era in tait.

Non voleva che gli alunni si fermassero in piazza intorno all'uomo dei caramellati e li invitava ad entrare, chiamandoli e battendo le mani. Lo aiutava in ciò il bidello che andava a prenderli per un braccio.

Sotto le feste, c'era gran movimento di parenti per gli auguri e le mance. Mio padre ci veniva con le sue due lire in mano per il Demetrio, il vecchio bidello, e le ossequienti parolette per il Preside. Una volta per un pelo non si confuse e fu per dar la mancia al Preside e porgere gli auguri al bidello!

Gran buon uomo, poveretto, il Preside Colombi e patriota e garibaldino! Su per giù a quest'epoca si facevano le gite commemorative sui campi di battaglia viciniori. Si andava, per esempio, a S. Fermo. In coda c'era sempre il bidello con la bisaccia dei medicamenti per chi si fosse sentito male. Vedo ancora la gran tavolata sulla piazza di S. Fermo. Ognuno aveva la sua bottiglietta di vino davanti con infilata nel collo una frasca. Sul cippo commemorativo dei caduti in battaglia il Preside Colombi versò dolcissime lacrime. Anche il prof. Ravazzoni di matematica diede evidenti segni di commozione.

E quando siam stati con tutta la Scuola a visitare l'esposizione di Como del '99! c'erano esposti - novità assoluta - i cannoni grandinifughi. Questi cannoni erano dei grandi coni capovolti destinati a sparare a salve contro il cielo. I cirri della grandine dovevano spaventarsi e scappar via!

Ma i giorni tremendi venivano poi ed erano quelli degli esami. Mia madre correva da un professore all'altro a raccomandarmi e sentiva delle gran Messe propiziatorie. Anch'io facevo la Comunione!

C'eran già pronte le valigie per andare a Moltrasio dalla zia, ma tutto dipendeva da quei benedetti esami. Io prendevo sempre ripetizione di latino e il mio ripetitore, il prof. Tocci, era anche lui sulle spine. Per fortuna non è mai mancato tra noi compagni di classe la più grande solidarietà e il copiare era un diritto. Io me la cavavo così. Non so se sia una buona cosa svelare certi retroscena, però, siccome sono ormai maturati i trent'anni della prescrizione estintiva, così posso raccontarvi che nella retrobottega di uno degli spacci di latteria dei fratelli Vittadini si radunavano gli esonerati dagli esami che svolgevano i temi, facevano le traduzioni per quelli che eran dentro ad aspettarli. Svolti i temi e tradotti i testi, c'era poi chi si incaricava di far loro passare la vietata soglia.

E il prof. Brianzi di francese, chi non lo ricorda? Dalla piazza S. Alessandro quelli che avevano già consegnato il foglio e l'avevano poi controllato appena fuori, gridavan su ai compagni per le finestre aperte la traduzione giusta. Il prof. Brianzi, che parlava sempre milanese perché il milanese - diceva - «è l'unica lingua che assomiglia di più al francese», li sentiva, quegli screanzati, e li apostrofava anche lui dalla finestra.

«Vusa, vusa, che t'oo cugnossùu... e poeu te rangi mi, te vegnarèt a Ottùbar, al mes de l'uga!» Quando la burrasca delle prove scritte e orali era passata, una bella mattina, prima delle otto, mi mandavano a prendere un calesse al posteggio di piazza S. Giovanni in Conca. Il baule issato a cassetta, la mamma, il papà e le valigie dentro e io sullo strapuntino con una sacca color paglierino sulle ginocchia.

«Uh va là, napulitan!» e si andava.

Da via Olmetto alla Nord la carrozzella faceva sempre la stessa strada. Via Palla, via Moriggi, piazza Borromeo, corso Magenta e San Nicolao...

Il papà alla stazione prendeva i biglietti e ci congedava con le solite parole: «Ve raccomandi, perdii nagotta!»

Noi si partiva e lui - lirin... liran... - andava alla Cassa di Risparmio.