Ore di città/12

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Ore di città/12  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Macachino e Cesarino[edit]

Diceva una canzonetta per musica scritta per il «Corriere dei Piccoli»:

Macachino non è un gatto,
non è un cane, non è un topo;
il suo nome? Fossi matto!
l'indirizzo? Marameo!
Li vorreste, sì, ma dopo?...
Macachino è un leguleo.
Questo dico e nulla più.

Adesso che Macachino dorme da tanti anni a metà della gran croce di Musocco che se qualcuno volesse andarlo a trovare potrebbe leggere sulla sua lapide, in stampatello:

DOTT. GILBERTO BERTOGLIO
NOTAIO

come già una volta - lui vivo - sul suo biglietto da visita, adesso - dico - posso ben «sciogliere la riserva» come scrivono appunto i legulei e darvi il suo indirizzo di allora dopo il nome e cognome. Abitava quell'ottimo fra gli uomini in corso Porta Romana al 93 in un appartamento terreno con giardino verso via degli Orti. Nessuno seppe mai con precisione perché i suoi di casa lo chiamassero coll'affettuoso nomignolo di Macachino. Forse perché amava esser coccolato come un bimbo il caro uomo e compatito per i suoi mali veri e immaginari. Professionisti di quello stampo se n'è persa da tempo la razza. Le sue parcelle erano così modeste che non pochi clienti se ne stupivano. Un tale gli disse:

«Ma dottore, a parte la rogazione degli atti, io sono pur venuto da lei per dei consulti e molte volte; qui non c'è segnato niente». «Andem, andem - gli rispose - ghe n'è anmò di stori? Per mì l'è semper on piasè parlà con lù». Lo aiutava nelle faccende d'ufficio uno strano commesso come erano strani allora i giovani di studio, sempre giovani anche se vecchi. Com'era el Ceser Capelett? Era un omino un po' calvo, senza età, né triste né lieto. Amico di tutta la famiglia lo chiamavano Cesarino e viveva notoriamente e con gran spasso di tutti, una doppia vita:

Cesarino gran trageda
che l'alloro aspetta ancora
quando il mondo si ricreda
sul Poeta Cesarino.
Glorie sogna ed è tuttora
del notaio Macachino
lo scrivano e nulla più.

Amava le belle lettere el Cesarin scrittor e copiava gli atti di studio con una cert'aria astratta e come se non fosse affar suo. Pareva dicesse: «Per ora son qui e pazienza, ma poi... vedrete...» Il notaio, in omaggio alla passione letteraria, lo apostrofava ben spesso per rima. Il commesso si intratteneva di là con un cliente?...

Cesarino, cosa fai?
con quel conte Panigai?

Veniva un altro e il dottor Gilberto in tono di deferente ossequio glielo presentava: «... questo poi è il nostro Cesare Cappelletti, scrittore emerito...» E gli dava - così dicendo - un forte pizzicotto sul braccio. «Ahi! ahi!» «Oh qui - aggiungeva alludendo non si sa bene se al poeta o alla giacchetta - oh, qui, c'è della stoffa!» Con tutto ciò si amavano e soltanto la morte li separò. Cesarino viveva di speranze, Macachino di ricordi.

Ricordi lontani e cari, ricordi degli anni suoi di Pavia, dei begli anni della sua gaia vita studentesca... Serate estive, lunghe serate sul Ticino, pazze comitive in gita ai Cà Noeuv e più su ai Cason, ritorni notturni, lungo il fiume, cantando! Notti chiare, di luna!

Ahimè! Che cos'era rimasto di quel giorni felici?
La chitarra del notaio
lieta amica a' suoi bei dì
muta dorme sul solaio
senza corde - i dolci canti
son perduti - ché oggidì...
testamenti - non c'è santi! -
trascrizioni e nulla più.

Il dottor Gilberto staccava dalla parete un bastoncino flessibile con in fondo una manina colle unghiette d'avorio. Lo introduceva tra il colletto e la nuca e si grattava furiosamente la schiena!

Se chiudo gli occhi, se mi raccolgo... vedo...

L'appartamento terreno del novantatré in corso Porta Romana...

... un corridoio lungo, un po' tetro con due porte a vetri, a riscontro; una, quella d'entrata, dà sulla corte, l'altra dà nel giardino. C'eran là i canerini nella gabbia, c'era un falchetto chiamato Loubet e c'era Paolino una vecchia tartaruga. Almeno una volta, cred'io, vi sarete indugiati in uno di questi miseri giardinetti cittadini. Su per giù si assomigliano tutti. La lor modesta vegetazione par che dica al visitatore indulgente: «Vedete, la buona volontà di fiorire non manca... ma, fra queste mura, come si fa?» C'è poi di solito una gran pianta nel mezzo; un gran tronco solitario, lungo, magro e melanconico come il figlio del vostro portinaio. Alla timida erbetta del prato, alle umili violette, a quei rari cespugli contorti e legnosi raccolti ai suoi piedi e che vorrebbero saper qualcosa del mondo di fuori essa la gran pianta scheletrita che spinge il capo più su oltre i muricciuoli di cinta, dice: «Non c'è niente, miei cari, niente a vedere, è tutto, tutto come qui...»

Ma quando la primavera ritorna, quando, a caso, scoprite una prima farfalla aleggiar spaurita per le vie della città, quando la serena delizia del cielo risorride alla terra estatica, oh... allora che infinita pace si stende anche su questi giardinetti prigionieri... «io sono la resurrezione e la vita» canta il giocondo raggio del sole che ha raggiunto in fondo allo studio il sedentario notaio che scrive tra le sue carte e il suo sigillo... «io sono la resurrezione e la vita» mormora il vento d'aprile che dalla campagna distante viene a quel vasetto di geranio che voi coltivate sul davanzale della finestra... e alla buona novella il mansueto notaio, ecco, depone la penna, prende la sua lunga pipa ed esce fra le sue quattro piante a respirare un poco, ed il vostro geranio, una mattina, ecco, è tutto un fiore!...

E maggio ride colle sue limpide sere, incoronato di rose! Nel piccolo giardino amico, di rose si accendevano le fredde muraglie, rose occhieggiavano alle finestre terrene, di rose sanguinavano i rugginosi cancelli!... mi ritrovo seduto sull'assicella dell'altalena in ascolto. Il frastuono della vita non giunge, sino a me; nella tiepida sera... che silenzio!... che pace!... e in quella pace, in quel silenzio una vocetta fessa intona una melanconica canzoncina...

... è il notaio che nel suo studio, nella nota arietta della «Gerla di papà Martin»

È leggerissima
la sento appena...
rievoca il suo dolce passato...

Paolino - la vecchia tartaruga - sbuca di sotto a una foglia e, senza troppo affrettarsi, dietro alla traccia canora, infila l'uscio di casa ed entra...

La melanconica arietta continua...

... molti anni mi separano da quei tempi lontani e la vita non fu sempre serena; qualche volta, come adesso, una strana tristezza mi prende, un amaro sconforto m'assale... ma se mi volgo indietro e rivivo un po' nel tempo d'allora, questa vita che tanto pesava come la gerla di papà Martin

È leggerissima
la sento appena...