Agnò che no se vò dì se core

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Agnò che no se vò dì se core by Bruno Ferroni
ladin anpezan
Teatro ladin (Auronzo)
AGNÓ CHE NO SE VÓ DÌ
SE CORE

(Spesso il destino ci spinge proprio nella direzione opposta a quella che avremmo scelto)

Commedia
di
Bruno Ferroni
2016


Personaggi:
Pina (la maestra)
Direttore
Ottavio (il bidello)
Scolari:
Vittoria
Ada
Ida
Carolina
Orsola
Jolanda
Piero
Leopoldo
Vincenzo
Sandro
Ivo
Giovanni
Edoardo
Silvio
Berto


In classe la maestra Pina sta ultimando l'appello e gli scolari rispondono " presente" alzando il braccio.

MAESTRA: “Giovanni, Ida, Leopoldo, Sandro, Vittoria, Ada, Vincenzo.” (Gli scolari stanno in silenzio con il quaderno sul banco, rigorosamente in centro) "Allora, vi avevo assegnato per casa un breve componimento, lasciando a voi la scelta dell'argomento... (indicando uno scolaro con la mano) Vuoi iniziare tu Piero? "

PIERO: (legge lentamente, compitando le parole per essere ben inteso) "La mia mamma si chiama Elvira. Ella è molto bella ed ha un grande cuccone nei capelli tutti neri. Ha gli occhi celesti ed un naso piccolo. Io voglio molto bene alla mia mamma."

MAESTRA: " Piero, non si dice cuccone.”

(dal fondo della classe una bambina alza la mano e contemporaneamente, frenando il riso, urla)

ORSOLA : "So mare à l cucon sul ciou! (= sua mamma ha una crocchia di capelli in testa).”

MAESTRA: "Piero, si dice crocchia. E tu Orsola parla solo quanto sei interrogata!"

IOLANDA: " Anche io ho scritto della mia mamma, maestra. "

MAESTRA: " Sentiamo..."

JOLANDA: " Io e la mia mamma siamo andate a trovare la nonna al ricovero e la mia mamma che è molto alta, camminava veloce. La mia mamma è un pò tacolina ed i suoi capelli sono tutti rossi ed è bella e buona."

MAESTRA: "Vittoria, devo correggere anche te: si dice che la mamma ha le efelidi sul viso."

LEOPOLDO: "Con il mio amico Lorenzo giochiamo spesso al pindol e vince quasi sempre lui perchè è molto forte e tira il pindol tanto lontano. Una volta lo ha tirato in una finestra che si è rotto il vetro."

ADA: (alza il braccio e parla subito) " Maestra io non so cos'è il pindol. "

MAESTRA: " Su Leopoldo, spiega ai tuoi compagni il gioco del pindol."

LEOPOLDO : " Si mette il pezzo di legno piccolo e grosso sull'orlo di uno scalino, mezzo dentro e mezzo fuori, e col bastone lo si colpisce forte, mandandolo più lontano che si può e vince chi lo lancia più ndalonde (= lontano).

MAESTRA: "Bravo Leopoldo, ma sapete che a scuola si deve parlare solo in italiano... (severa)… non voglio sentire parole in dialetto, capito? "

TUTTI: " Sì, signora maestra."

CAROLINA: (alzando il braccio e richiamando in modo petulante l'attenzione dell'insegnante) "Io, io, maestra."

MAESTRA: " Leggi Carolina!"

CAROLINA: (legge quasi senza punteggiatura) “La mia patria. La mia patria si chiama Italia ha la forma di un lungo stivale e contiene molti abitanti. Il mio papà dice sempre che bisogna amare l'Italia e voler bene anche al Re." (la maestra si limita ad indicare con un cenno della mano, l'alunno che deve leggere, senza chiamare più per nome)

IDA: (legge bene, scandendo le parole) "Io sono Ida e con la mia sorella Silvana giochiamo sul prato dietro casa. Sono una bambina piccola di statura e la mamma dice che non importa, perché sono molto intelligente e brava. Mi piace molto leggere e qualche volta mi metto anche a cantare."

VITTORIA : (da un banco poco distante, con fare birichino, prende in giro Ida) " Te sos n petus che cianta come n lugro (= sei un pulcino che canta come un lucherino)”

VINCENZO: " l nono à dito che l lugro cianta co l tenpo moradéa" (= Il nonno dice che il lucherino canta quando il tempo migliora )

MAESTRA: " Vincenzo, se continui a parlare in dialetto, ti metto un brutto voto!" (Un bussare alla porta fa trasalire la classe che in men che non si dica, si trova di fronte lo sguardo serio e indagatore del direttore. La maestra Pina alla vista del superiore è scattata quasi sull'attenti; deferente, scendendo dalla pedana e spostandosi di lato, invita il direttore ad accomodarsi. Il direttore sale, si siede e con un gesto della mano fa sedere gli alunni)

DIRETTORE: " Tu bambino, vuoi leggere il compito al direttore?"

SANDRO: (con voce un pò tremante inizia) " Ieri sera mio papà ha acceso la radio e si è messo a cantare. Quando gli ho chiesto cosa cantava, mi ha detto che il brano più bello che conosceva era Il mio pensiero di Giuseppe Verdi."

DIRETTORE: " Vorrai dire Va pensiero, il glorioso canto degli italiani."

SANDRO: " Sì, signor direttore, mi sembra che era così." (il direttore canticchia l'inizio del "Va pensiero", inarcando il petto, portando la mano destra al cuore e fissando il soffitto. Ben presto si ricompone ed interroga, indicandolo con la mano, un alunno)

DIRETTORE: (rivolto a Ivo) " Dimmi, come si chiama il nostro amato Re?" IVO: (con sicurezza, guardandosi intorno per vedere l'effetto della risposta) " Vittorio Emanuele Terzo!"

DIRETTORE: "Bravo! E come si chiama la regione dove noi viviamo?" (indica Giovanni)

GIOVANNI: " Si chiama Veneto, si affaccia sul mare Adriatico e a nord ci sono le Dolomiti dove c'è anche il mio paese."

DIRETTORE: (indica un altro alunno invitandolo a continuare) " Continua tu, bambino."

SANDRO: "Il mio paese si chiama Auronzo. Esso è molto lungo e bello ed è percorso dal fiume Ansiei che forma il lago di S.Caterina.” (Vorrebbe continuare ma bussando e togliendosi il berretto della divisa, si affaccia alla classe il bidello)

BIDELLO: "Signor direttore, in ufficio ci sono delle persone che chiedono di lei. " (Ottavio attende alla porta, sempre con il cappello in mano)

DIRETTORE: (si alza, e contemporaneamente si alzano anche gli alunni, sollecitati da un cenno discreto ma efficace della maestra) "Cari ragazzi, sono contento e mi compiaccio con la vostra maestra. Siate sempre buoni e accoglienti verso tutti, in questi tempi difficili.” (Volgendosi verso la maestra) " Maestra, mi segua che ho bisogno di parlarle!" (rivolto al bidello) "Lei stia attento alla classe mentre la maestra si assenta!" (Usciti, direttore e maestra, il bidello si avvicina alla cattedra e cerca di mettere un pò di ordine nel parapiglia che si sta creando fra gli alunni. Chi tira palline di carta, chi litiga con un compagno e chi scarabocchia qualcosa sul quaderno. Edoardo sta prendendo in giro alcune compagne, che si ribellano rincorrendolo fra i banchi...)

EDOARDO: (cantilenando) “Ivo é tardivo, Ada é na soada (= cornice), Ida é de cosina, Carolina fèi la puìna..." (ripete canticchiando, inseguito dalle compagne)

OTTAVIO: " Ciò, Ricardo, varda de no fèi massa l sfazou, che co vedo to pare ió sì che i conto... (alzando alquanto la voce) e varda che podarae anche voltate via n slepazon. (= Oh, Riccardo, vedi di non fare troppo lo sfacciato, che quando vedrò tuo padre gli racconterò tutto, e bada che potrei anche darti un uno schiaffo.)!” (Riccardo, colpito dalle minacce del bidello, e all'accenno al padre, si rimette seduto)

OTTAVIO: "Se stasé buoi, co diaron a la festa dei albere sun Proazèi, vedarei de fèi sautà fora n panin n depì por calchedun. (= Se starete buoni, quando andremo alla Festa degli Alberi, su in Proazèi, vedrò di fare in modo di trovare un panino in più per qualcuno.)

GIOVANNI: " Ben... ió èi me pare che fèi pan, me desnoto dereto (Beh,io ho mio padre che fa il pane, mi tolgo subito dalla lista)

OTTAVIO: " To pare fèi pan por vende, no porcé che so fiol lo bice via. (" Tuo padre fa il pane per venderlo, no perchè suo figlio lo butti via).”

IDA: " L pan no se bica mai via! N caso che vanzasse, se pó dàlo a le pite. (= Il pane non si butta mai via! Nel caso avanzasse, si può darlo da mangiare alle galline.)”

BERTO: " Benon, alora sarà l ota che te cressaras con duto l pan che te daron.” (Benone, allora sarà la volta buona che crescerai con tutto il pane che ti daremo)” IDA: " To mare à dito che te sos magro come n tazon de n persego... me par che te èbe besuoi anche tu de n bocon n depì "

( Tua madre ha detto che sei magro come il nocciolo di una pesca....mi pare che abbia bisogno anche tu di un boccone in più)

OTTAVIO: (spazientito dal battibecco) "Chi che no fèi l brao fin che no torna la maestra, co saron n Proazèi, lo meno sun Poorse, agnò che passa l Mazaruò, e lo pianto là. Stasé atente!"

(= Chi non fa il bravo fino al ritorno della maestra, quando saremo in Proazèi lo porterò su in Poorse, dove passa il Mazaruò, e lo lascio là. State ben attenti! )

ADA: (con modi più educati) "Barba Tavio, aveu visto tante ote l Mazaruò? "

OTTAVIO: "Dió-me-sì, e anche da ndavesin! (Anche gli scolari più rumorosi si interrompono e ascoltano con curiosità il racconto del bidello)”

OTTAVIO: (continua, e vedendo quanto il suo racconto sta catturando l'attenzione degli alunni, rincara la dose) "Cuanche ero dobòto su por sora l era là che l fufignaa algo, avèo paura che l me vedesse e me son scondù davoi de n pèzo de n pizió. (= Quando gli ero quasi vicino ho visto che era affacendato in qualcosa, avevo paura che mi vedesse e mi sono nascosto dietro ad un grande abete)

VITTORIA: " E alora?"

OTTAVIO: (ormai li ha stregati e continua il racconto anche con efficace gestualità e mimica) “Era n magruto de òn, duto vestiu de ros, chel che no é, l se gira, l me varda e l fèi così co l dedo (mostra il gesto di minaccia , agitando il dito indice, come talvolta fanno i genitori ai figli. I bambini sono ammutoliti, qualcuno con la bocca aperta, altri accovacciati per terra, e tutti pendono oramai dalle labbra del bidello).”

OTTAVIO: "Me giro por scanpà ma, come che proo a moeme me rebalto por davoi (= Mi giro per scappare, ma, come provo a muovermi, mi rovescio).”

ALUNNI: "ohooo!"

OTTAVIO: "Zenza che me nacorde, l me avea leou i cordoi dei scarpoi..." (pausa) "… tosate, èi ciapou na sbigola che no ve digo e giavàme fora i scarpoi e beteme a core descozo do po le erte é stou duto una! (= Senza che me ne fossi accorto, mi aveva legato i lacci degli scarponi, ragazzi, mi è venuta una paura che non vi dico e levarmi gli scarponi e mettermi a correre scalzo giù per la discesa, è stato un tutt'uno)” SANDRO: " Signor Ottavio... e l'uomo vestito di rosso le correva dietro?"

OTTAVIO: " Caro l me bòlo, ió pensao solo a core... Roba che no me vignea pi l fiou (= Caro bambino, io pensavo solo a correre... Roba che non mi veniva più il fiato).” (si ferma e getta lo sguardo sull'uditorio) “Co èi pensou de èsse al seguro me son vardou ntorno, ma non no avarae pi visto nessun (= Quando ho creduto di essere già al sicuro, mi sono guardato attorno, ma non ho visto più nessuno).”

    • LEOPOLDO: "La nona à dito che co la era dovena, na tosata era stada portada via

dal Mazaruò che la menaa n tante luoghe, e cuanche la à podù deliberiàsse, la contaa che la podea magnà solo giasene e nosele (La nonna mi ha detto che quando lei era giovane, una bambina era stata portata via dal Mazaruò che la faceva girare in molti posti, quando è riuscita a liberarsi, raccontava che si era nutrita solo con mirtilli e nocciole).”

JOLANDA: "Sì, sì, la mama conta calche ota che so nona i disiea che la era come na Redosola, porcé che la avea i ciaves dute rosse (= Si, si, la mamma racconta qualche volta che sua nonna le diceva di essere come la “Redosola", perchè aveva i capelli tutti rossi).”

ORSOLA: " La mama à dito che anche n zima a Piatés, su dai Crepe, calchedun à visto l Mazaruò, e n Vilapizola, su po la strada che và n Comelego, ma ndalonde da la cesa de Santa Caterina, porcé che i avea paura (= La mamma ha detto che anche in cima a Piatès, su verso i Crepe, qualcuno avrebbe visto il Mazaruò,e a Villapiccola, su per la strada che porta in Comelico, ma si teneva lontano dalla chiesetta di S.Caterina, perchè aveva paura).”

    • OTTAVIO: " Na ota era tante spirite ntramèdo i bosche, ma daspò l " Concilio" i

dis che cuasi dute i sèe sparide (= Una volta c'erano molti spiriti nel profondo dei boschi, ma dopo il Concilio [ di Trento] dicono che quasi tutti siano spariti).” (capisce che il racconto ha esaurito la sua carica e dal "Concilio" in poi anche lui, Ottavio, si sarebbe imbarcato in strani discorsi, ma non risparmia un'ultima ammonizione) “ … E se bate de besuoi, savarae ncora agnó dì a ciatàlo, e se no fasé i brae..." (= E se fosse necessario, saprei ancora dove trovarlo,e se non fate i bravi...) (alza il dito indice e ripete minaccioso il gesto che a lui aveva fatto il Mazaruò) (Si apre la porta ed entra la maestra Pina. Ottavio si toglie il berretto della divisa, saluta con un sommesso "arrivederci" la maestra e se ne va, chiudendo silenziosamente la porta dell'aula. La maestra non nasconde un moto di soddisfatto stupore, nel vedere gli alunni composti nei banchi) MAESTRA: " Bravi, vedo che vi siete comportati bene con il bidello."

ADA: "Sì, Tavio ci ha raccontato del Mazaruò che vive nei boschi e fra le montagne."

ORSOLA: "Maestra, anche mia nonna mi ha detto il nome di tante montagne attorno ad Auronzo."

MAESTRA: " Vai, Orsola!"

ORSOLA: "Il Tudaio, Aiarnola, Croda dei Toni, Tre Cime di Lavaredo, ..."

SILVIO: (veloce, sulla voce ) " Monte Agudo, Col Burgiou, Col de Vilagranda e chel de Vilapizola, ..."

BERTO: "Maestra, mio nonno ha ha detto che ha fatto la guerra sul Monte Piana e che lì è morto anche un suo amico."

MAESTRA: " Si, bambini. Sul Monte Piana sono morti migliaia di soldati, ma forse qualcuno di voi ha scritto dei proverbi... (mezzo sorriso di benevolenza) ... sì, anche se sono in dialetto, va bene.” (La maestra gira lo sguardo sulla scolaresca, muta ed apparentemente imbarazzata dalla richiesta. Solo Ida, con gesto deciso, alza il braccio)

IDA: (a voce alta) " Il proverbio che mi piace tanto è: (quasi sillabando) Agnó che no se vo dì... se core ! "

MAESTRA: (si avvicina a Ida e le fa una carezza) " Ida, tu diventerai una donna saggia!"

    • Racconto realmente udito dall'Autore

FIN