Ore di città/60

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Ore di città/60  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Color Manzoni[edit]

Che mi dan del matto lo so da un pezzo ma ci tengo a esserlo con tanti savî in circolazione. Così per me - ve lo dirò di volo - l'oboe suona giallo e la tromba in sordina suona verde e Alessandro Manzoni anch'egli ha il suo colore. L'ho scoperto visitando il Centro Manzoniano. È un colore grigio polvere, piuttosto triste.

... Una coroncina del Rosario coi grani piccoli, piccoli, puntata sulla federa del cuscino, una crocetta nera, un acquasantino di maiolica bianco e azzurro sormontato da un angelo e la comoda a piè del letto...

Mi adagio sulla seggetta a braccioli e mi contemplo il dorso delle mani posate sulle ginocchia. Chi sono io? Sono un Tessa qualunque o sono Don Alessandro Manzoni che si è appena levato al mattino, ha infilato le calze di filugello e ora si riposa un po' prima di andarsi a lavare? La catinella è là vicino alla finestra, minuscola e grigia sul suo esile sopporto di ferro a treppiede. Mimetismo! Un mio professore di storia naturale che per intonarsi in qualche modo alla materia che insegnava aveva il nome di un fiore: Giacinto e il cognome di una bestia: Martorelli ma che era, e molti lo sanno ancora, un autentico scienziato, spiegava che gli uccelli prendono di solito il colore della località dove vivono.

Non voglio paragonare Don Alessandro a un uccello ma mi par proprio che ci sia intorno un colore che io definisco Manzoni e che è il colore grigio spento dei luoghi di suo abituale soggiorno. Il suo studiolo di Brusuglio col soffitto a bauletto e in forma di bomboniera aperto verso un giardino che non dà luce così denso di piante com'è, questa camera da letto conventuale, le tre stanze da basso a terreno dove il Manzoni e il Grossi facevano tra loro casetta, danno appunto la colorazione allo scrittore, formano il fondale su cui l'ombra di Don Alessandro si muove.

Invano tendo l'orecchio per cogliere un qualche rumore. Nulla. Anche le scarpe che scricchiolano infastidiscono. Bisognerebbe lasciarle alla porta e camminare in pantofole. Se aprite I Promessi Sposi vi accorgerete con stupore che è un libro dove non si grida, c'è qualche nota acuta è vero, ma son poche, non più di due, mi pare... L'urlo di Menico, l'urlo di Lucia... ma anche quelli subito soffocati, l'uno dalla minaccia di un bravo, l'altro dal fazzoletto del Nibbio. Nemmeno le sommosse di popolo rompono in clamori, il mareggiare della folla è come se venisse di molto lontano, non spaventa e neppure disturba la vostra pace. Io direi che è per questo che I Promessi Sposi sono la lettura serale per eccellenza; dopo tutti i crucci della giornata, dopo il frastuono, il fastidioso frastuono della città che ancora vi ronza nella testa, aprite il libro del Manzoni a caso e sarà per voi come un Vangelo di serenità, leggete per poco senza sforzarvi di capir troppo ma lasciandovi calare in quella prosa dolcemente come in un'acqua tiepida. Per il vostro riposo notturno basterà.

La cameretta ove il vecchio poeta abitò nei suoi ultimi anni è come se fosse illuminata anche in pieno giorno dal dolce lume di una lucerna a olio a regolateur. Non aprite la finestra, lasciate le griglie socchiuse, la luce disturba il fantasma dello Scomparso. Tutto fluiva come un olio nella vita di Lui... le letterine a gli amici... i fogli della Morale cattolica... Da un tiretto vien fuori un berretto di seta nera stinta colla visiera come quelli che usano i fantini... se me lo provassi? Io me lo provo! Non mi son forse messo in testa dai nostri amici Ravasco la tiara di Pio XI prima che gliela mandassero a Roma? Il Manzoni si doveva mettere la calottina per via del freddo, perché d'inverno - cerco la stufa in giro e non la trovo - qui non si doveva scherzare. Don Alessandro è uno di quegli scrittori che nessuno può figurarsi giovane. Par che sia stato sempre anziano, ammogliatissimo e perbenissimo... a braccetto con Cavour... a passeggio con Rosmini... intento a comporre le strofette per le immagini della Prima Comunione.

Di dietro - me le ricordo ancora - c'era la quartina e davanti c'era Lui alla balaustra della chiesa di S. Fedele e sotto si leggeva: «L'ultima Comunione di Alessandro Manzoni». L'avevan fatto vecchio, ma vecchio... era in piedi non potendo più inginocchiarsi per via dei dolori alle ginocchia, teneva la palma della mano sinistra aperta sotto il mento e su c'era un candido pannolino. Un po' curvo, proteso in avanti, quasi in equilibrio instabile aspettava la Particola...

... In una cassaforte del Centro Manzoniano si conserva la minuta del romanzo; è stesa sui tre quarti di ciascun foglio, corretta, ricorretta... Lui non finiva mai di correggere e di accettar consigli e intanto andava ai misteriosi giovedì di casa Porta dei quali tanto poco si sa quanto poco si conosce delle origini e delle fonti della poesia del grande milanese.

Guardando il lettino del Manzoni, sedendomi alla sua scrivania mi par proprio di scoprire il segreto dell'arte sua che è poi il segreto di tant'altri scrittori dell'Ottocento prima della scoperta del motore a scoppio. Gente metodica, raccolta, casalinga, «gent de penna» che viaggiava nei meravigliosi reami della fantasia stando seduta, tappata in qualche squallida stanzetta. Mi accorgo che avevan ragione loro; per veder veramente bisogna chiudere gli occhi, il mondo distrae, più corri meno vedi.

Le quattro camerette di via Morone, tre da basso e una di sopra, sono proprio squallide e non mi convincono. Sta bene che Don Alessandro nei suoi ultimi anni era angosciato dal timore di andare in bolletta ma, mio Dio! viver così da trappista mi par che da parte sua ci sia stata un po' di ostentazione. E già che son sulla strada dirò pure che il Manzoni doveva avere una discreta furbizia; nella vita come nell'arte riuscì sempre a rincantucciarsi, a farsi passare come el sciur nissun. Era ricco e viveva da povero, era uno scrittore sommo e si rintanava; dubitò e si contraddisse. Dopo aver orientato gli Sposi Promessi verso la sensualità e la violenza (la Signora di Monza e l'Innominato) spostò l'asse del romanzo orientando I Promessi Sposi verso un pavido e una fanciulla frigida (Don Abbondio e Lucia).

Dedicò gran parte della sua vita al romanzo storico per concludere rinnegando questa forma d'arte; passò al tempo dei tedeschi per «Un di quei capi un po' pericolosi» e non si espose mai, non ebbe mai seccature. Fu un maestro del saper vivere. Proporzionatamente ai molti anni della sua esistenza seminò poco e raccolse molto. Il suo libro ebbe però una disgrazia: lo lessero troppo nelle scuole, ne fecero troppi sunti gli alunni, andò in odio a molti per esser stati costretti da ragazzi a mandarne a memoria dei brani che divennero famosi come certe arie delle opere verdiane: «Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci... ...Addio monti sorgenti dall'acque...» Quanti che io conosco che non vollero più saperne del Manzoni perché quella Lucia e quel Renzo ricordavan loro troppo il legno stantìo dei banchi! L'istruzione obbligatoria ha i suoi guai e può essere paragonata alla nutrizione artificiale colla sonda.

Per conto mio preferisco che un uomo fatto adulto ignori del tutto i capolavori piuttosto che conoscerli e detestarli. I Promessi Sposi portano in loro stessi i mali che li hanno resi in tempi andati il libro scolastico per eccellenza. È così semplice il romanzo e alla superficie è così di facile lettura che sembra - scusatemi la parola - l'opera di un semplicione e invece è il portato di un genio! E anche questa è una delle caratteristiche di quel «Dottor Duplica» che fu Alessandro Manzoni.