Ore di città/53
Ritorno al Gerolamo
[edit]Già... al Gerolamo! M'è venuto in mente di tornarci l'altra sera dopo quarant'anni che non ci andavo. Tutto come prima. Niente è mutato. Davano La notte di San Silvestro con Gerolamo Sereno o guardia notturna. Sempre secondo la tradizione: d'inverno spettacoli natalizi, paesaggi nevosi; verso Pasqua rappresentazioni un po' più rasserenate.
Entrando, a scena aperta, sono stato accolto dall'esclamazione corrucciata di un nobile personaggio: «Sciagurato - gridava - il Re sa tutto!»
Mi sono guardato intorno: era un pubblico prevalentemente di bambini, di mamme e di zie. Non mancavano però teste grigie emergenti da pastrani fané. Demolito lo stabile ove era il loro solito caffeuzzo dalle specchiere nebbiose, dai divani di velluto rosso, dai tavolini di marmo, non morto ma tappato in casa da malumori e da acciacchi l'amico d'infanzia, venivan lì, si trovavan lì di tanto in tanto a ricordare e a sognare.
Forse non lo confidavano a nessuno, non osavano confessarlo di preferire monsù Gerolamo a miss Garbo... si rannicchiavano, si raggomitolavano nella speranza di non esser notati... anch'io per assumere un contegno in armonia all'età, faccio finta di interessarmi più alla sala che al palcoscenico. Una bambina davanti a me per veder meglio è in piedi sulla poltrona e coi due braccini, uno di qua uno di là si tiene stretta alla mamma e alla zia.
Gerolamo sta barattando il suo cappotto di Sereno col costume di Sua Altezza il Principe di Sassonia che s'è messo in maschera per fine d'anno, e Sua Altezza gli dà una borsa di fiorini e gli dice: «Va e giuoca, e buona fortuna!»
«Grazie, monsù, 'm setarò 'n tavolin da cacao!»
Cacao! Che scoppio di risa! Mi siederò a un tavolino di cacao!
Se non fosse per questa ilarità luminosa e sussultante quasi quasi mi appisolerei, ma mi desto e vedo Gerolamo falso principe alla Reggia mettere a posto i pasticci di S. A. e costui in veste di guardia notturna combinar guai per le vie di Dresda. La vecchia commediola non è inquinata di alcuna modernità, siamo rimasti al buon popolo fedele e condiscendente ai Re che si divertono. Poi cala la tela e da quel buco sotto il palcoscenico da dove quarant'anni fa uscivano i musicanti, escono ancora due violini, una tromba e un pianista. Chi può essere il secondo violino? Ha l'aria di uno scapolo indurito che abiti con una cugina anzianotta, tre stanzette... ma sì!... qui vicino in via Passerella. Mi ricorda el scior Nuzi dello studio Candiani. Da quanti anni grattava carta bollata el scior Nuzi? Non usciva nemmeno per colazione. Apriva le antine di un finto armadio ove c'era un lavabo con una salvietta appesa. Lì dentro ci teneva pure la sua refezione che portava da casa. Da una parte il sapone, dall'altra la michetta imbottita. Mangiava in piedi, tacendo, con la testa mezzo nascosta nell'armadio, poi beveva un sorso d'acqua, si asciugava la bocca con la salvietta, chiudeva le antine e si rimetteva al lavoro. El scior Nuzi avrebbe potuto benissimo, all'insaputa del notaio, coltivare la musica, possedere un violino e la sera al Gerolamo suonare nell'orchestra.
Alla mia destra c'è un signore maturo, molto per bene, con un bambinetto biondo che non gli dà pace: «Zio, voglio le caramelle»... e lo zio glie le compra... «Zio voglio il foglio stampato»... e lo zio gli fa dare il programma... «Zio, chi era quell'uomo nero con la barba? Era il Moro geloso?»... e lo zio gli spiega e rispiega la commedia... Capisco, non può essere che così, quel biondino qui è il figlio di una sua sorella molto, ma molto più giovane di lui e da lui sempre considerata e protetta come una figliuola; ora e da poco si è sposata ed il vecchio zio, per lasciar liberi gli sposini, si prende in corpo il nipotino che lo tira al cinema e al Gerolamo. Non gli basta di vederselo accanto, gli tiene una manina nelle sue perché lui non ha figli. La sala si abbuia, s'alza la tela. Esce dal retropalco un tanfo tetro di muffa, di umido, di chiuso. Sa di grandi armadi da sacrestia questo odore, di ripostigli, di tavolati fracidi. Se mi concentro vedo la massa grigia delle marionettone in fila, appese ai loro uncini, le teste giù, ciondoloni: schiere di appiccati.
Non mi dispiace assistere allo spettacolo a occhi chiusi. Sto come mio padre che, per non veder sempre le stesse cose, la stessa gente, teneva le palpebre abbassate. E mia madre a chiedergli: «Coss te fee, Senio, te dormet?»
E lui a rispondere:
«No, pensi».
Anch'io penso, ricordo altre serate lontanissime in questa sala. Se a Milano per la prima volta nei corsi più importanti avevano adottato i marciapiedi rialzati, subito al Gerolamo si erano viste tre vecchiette che andando in chiesa inciampavano nel marciapiede, cadeva l'una cadeva l'altra, cadevan tutte. E i ragazzi giù a ridere.
I piccoli spettatori non mollavano il divertimento per nessun motivo: e così si spiega come mai gli inservienti trovassero poi negli angoli dei palchi certe umidità sospette. I bambini di un tempo - si sa - piantavano di quei capricci, e le mamme, fin troppo condiscendenti, per evitar scene tagliavan corto e dicevano:
«Va là... va là... scrùscet in quel cantun...»
Quell'odorino composito di ammoniaca e di portogalli che m'accoglieva fanciullo nel vaso del Gerolamo non c'è più, ma il pubblico ride ancora alle battute tradizionali e le scene son così poco mutate che qui seduto ti par quasi impossibile che di fuori l'Ala Littoria solchi il cielo coi suoi apparecchi.
Il mondo è cambiato soltanto per l'uomo che vive la vita di tutti, ma i bambini e i vecchi stanno in zone marginali in una immobilità fuori del tempo. Certo che per me, abituato da ragazzo a non veder altri spettacoli che questi, quando mi condussero al Manzoni, al Ballo in maschera, non mi capacitavo che i cantanti fossero uomini o donne veri, e chiedevo: «Quella marionetta che cosa dice?» Ora però sono in dubbio se lo scambiare un uomo con un burattino sia davvero un errore.
Ma intanto la rappresentazione è finita; le luci in teatro si spengono senza aspettare che la gente sfolli e se ne vada e anche i bambini si spengono come lumicini, si accoccolano, si addormentano in collo alle mamme e alle zie. Sulla piazza m'incontro con Cesare Beccaria in monumento. Volta le spalle al Palazzo del Tribunale, e guarda il Teatro delle Marionette. Il signor Cesare di marmo, mi chiede: «Ti sei divertito? Io no, non mi diverto».
Quando frequentavo il Ginnasio in piazza Sant'Alessandro c'era a metà dello scalone, per andare alle classi, un busto del Beccaria e so che i ragazzi dicevano di lui:
«Quel lì se el fuss viv el beccaria!»
Ma lo dicevano per celia.