Ore di città/50

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Ore di città/50  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

MI 44026[edit]

Incede silenziosissimamente. Sto leggendo alla fermata obbligatoria...

COMUNE DI MILANO
CIMITERO MAGGIORE
SEZIONE AUTOTRASPORTI

...e subito ho come un piccolo brivido, mi volto e lui è lì: nero. Appare come la morte improvvisa. La gente si affolla per salire...

«Adasi... adasi, gh'è post per tucc...»
I crisantemi... le dalie, ondeggiano sul grigio delle stoffe... e su... e su... e su...
«Ch'el me ciappa el fioeu...» Il bambino è nelle braccia del bigliettario.

Mi isso... Ci sono! Vado al Campo 48.

L'autobus non parte se non a pieno carico. C'è ancora qualche posto in piedi e aspetta. Il manovratore, placidamente assiso al volante e col giornale aperto sopra, ogni tanto dà un piccolo colpo al clacson per incitare i ritardatari e dar animo ai dubbiosi.

Si va.

Che paesaggio confortevole! Le tombe sfilano a schiere, battaglioni di tombe, reggimenti di tombe! Essi erano, penso. Con tanti morti in giro ti prende un'intima allegrezza dell'esser vivo.

Vendono in autobus due specie di biglietti; l'andata a 20 centesimi, l'andata e ritorno a 30. A ogni buon conto nessuno compra la sola andata. Il nero carrozzone ha l'aria di un salottino di ricevimento. La gente vi parla dei loro Morti con semplicità affettuosa. C'è una che dice d'esserci andata inutilmente perché la terra era gelata e l'acqua pure. Il bigliettario interloquisce:

«E mi? E mi? stamattina ho brusaa el mè giornal per fà deslenguà l'acqua in del bussolott d'ona sciora!»

E il manovratore: «M'han ditt che incoeu riva chi el Podestà, el ven a trovamm nun...»

È soddisfatto di questa visita e anche il suo collega ne è contento. E l'uno e l'altro sono due rosei paciocconi. Che l'Azienda li abbia messi qui a titolo di premio?

Ora l'autobus è fermo davanti a vasti campi vuoti, ripuliti dei vecchi clienti e in attesa dei nuovi. Che strana idea! Mi richiamano alla memoria le lettere d'ufficio. Attendono, invitano e salutano: «In attesa, ben distintamente vi saluto...»

La Mamma Celestina batte uno... due... tre... quattro... sette colpi. Voi non sapete chi è la Mamma Celestina. L'abbiamo battezzata in due con questo nome la gran campana fessa in vetta alla torre d'ingresso del Cimitero Maggiore. Non chiedeteci il perché, non sapremmo dirvelo. La Mamma Celestina ha avvistato in fondo... in fondo al viale una navicella che viene... arriva... tra poco è qui, in porto!

Mi dicono che al dan... dan... dan della Mamma Celestina e secondo il numero dei tocchi si levano dall'uno o dall'altro reparto del cimitero, come corvi, i becchini... Perché li chiamano così? Becchini! forse perché ti beccano? Serenità dell'automezzo! Mi guardo intorno. Nessuno è triste. Non vedo facce di donne che mi piace definire «cimiteriali». Le trovi qualche volta sul tram n. 14. Son lunghe, pallide sotto feltrini neri che hanno perso la forma. Han bocche sottili che cadono da un lato. Pupille chiare in occhiaie peste. Tutto il loro aspetto è acquoso, umidiccio come quei fiori che portano avvolti in carte sgualcite dai colori scialbi.

Ma il bigliettario parla a un rubicondo donnone del sole di Mogadiscio. Ha fatto la campagna d'Africa, il bigliettario, e il manovratore è stato in Libia. Il donnone ha due figli militari e una figlia sposata ad Harar.

Il vento del Sahara e il cielo del tropico ravvivano il pallore dei marmi e il MI 44026 prende una piccola corsa verso il Campo 48.