Ore di città/47

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Ore di città/47  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Un pittore umanista[edit]

Quanti anni avrò avuto? Forse tre. Lui quattro. Abitava una villetta comperata da suo padre ai margini della città; aveva davanti il muro del cimitero - già chiuso - di S. Gregorio là dove adesso c'è l'inizio di via Settembrini; a destra c'era la rossa costruzione del Lazzaretto col suo fossatello melmoso, e poi? Mah! Del posto non mi ricordo altro. So che una mattina sul seggiolone mentre prendeva il caffelatte cadde in estasi e...

«La Madonna! Ho visto la Madonna!»

Lo portarono a Santa Francesca, lo presentarono a Padre Cocchignani che - a buon conto - non volle pronunciarsi. Ma la notizia corse lo stesso. L'Enrichetta la riferì alla zia Rosa, la zia la raccontò a mia mamma e...

«Te védet, el Fortunato l'ha vist la Madonna perchè l'è savi e ti invece...»

Era proprio savio, un vero pantalone. Uscivamo qualche volta noi due e la zia Rosetta e andavamo ai Giardini pubblici. Lui faceva le barchette di carta e le metteva nel laghetto dei cigni; se le barchette prendevano il largo e non gli stavano attenti, lui ci andava dietro entrando nell'acqua sino alla cintola.

«Cara Madonna, t'è chi come el s'è consciaa... cià... cià... prest tornemm a ca!» I suoi primi acquarelli li vidi esposti nel parlatorio del collegio San Francesco di Lodi dove l'allievo Fortunato Rosti seguiva i corsi liceali.

Sua mamma veniva spesso da Milano a trovarlo. Si chinavano leggermente i Padri nell'incontrarla e si tiravano da lato e il Fratello Gerolamo guardava la bella signora allontanarsi per il corridoio in un nimbo e andava in fondo e in uno sgabuzzino quelle sue mani rosse di geloni e le braccia nude fino ai gomiti le tuffava in una tinozza!

Fatta la laurea lui a Bologna, io a Pavia colla stessa tesi sul voto alle donne e che io ho copiato da lui e lui da un altro, capovolgendo le conclusioni; Rosti era favorevole, io contro, si ebbe nel '14 studio assieme in via Spiga verso il naviglio. È là che Fortunato Rosti riprese a dipingere. Un quadretto di città - mi ricordo - acqua fra due sponde di pietra, case e il ponte fra Sant'Andrea e i Boschetti; ma allora la pittura non lo prendeva gran che, era la musica che preferiva e la poesia, poi aveva la passione dei francobolli; un anno dopo partì per la guerra con una bustina sul cuore, c'eran dentro le colonie tedesche sopraccaricate e la prima emissione di Sardegna tripletta 46 rosa, orgoglio della sua raccolta; non le avrebbe lasciate per nessuna cosa al mondo. Fra un'azione e l'altra se le toglieva dal seno e le contemplava.

Dopo il lavacro della guerra l'umanità è stata presa dalla passione per l'igiene. Hanno messo il mondo nell'autoclave e ne è uscito sterilizzato e forse anche insterilito, è rimasta soltanto qualche cimice nei letti...

Prima del '14 la gente si lavava meno, ma in compenso amava la poesia. Fortunato Rosti era poeta apprezzato sin dal liceo. I padri Barnabiti per vincere la sua neghittosità costituzionale lo chiudevano in stanza perché inneggiasse nelle ricorrenze del calendario ai loro santi. Era un pascoliano convinto. Di quanta riverenza erano circondati allora gli uomini grandi! Si viveva nel desiderio irrealizzabile di conoscere Carducci, di esser presentati a Giovanni Pascoli. Lui ci riuscì a Bologna frequentando le sue lezioni, ma in luogo di interessarsi ai suoi versi il poeta di San Mauro gli chiese la ricetta del risotto alla milanese.

Quando il Rosti tornò a stare con me in Rugabella in quello studio a terreno fra i due giardini, un po' buio e pieno di riflessi, cadde sotto il controllo della signora Erminia, la portinaia. Passò giorni tremendi. Nessun inquilino poté mai entrare nello stabile senza essere scavato o direttamente o per mezzo delle donne di servizio. Donne qui non ce n'erano (di servizio per lo meno), e Rosti taceva. Passava davanti a quel punto interrogativo che è la faccia della sciora Erminia fischiettando: Ai saluti rispondeva con un: «Ave!» o con un «Salve».

«Ave, dove semm? in gesa? - brontolava il portinaio - Salve? Perchè? Stranudom?»

Con la scusa dei gatti che visitavano le adiacenze e bisognava riportare a casa, in corridoio chi c'era? La sciora Erminia!

«Scusatemi, signor Rosti!»

La mattina per via «di quel po' di polvere» e cioè dello studio da rassettare, gli ballava sempre in giro.

Finì per non lasciarsi più vedere.

Veniva gente a cercarlo e la portinaia allargava le braccia esclamando: «Sta dei mesi!»

Ora vive per conto suo. Sul suo uscio in corso Plebisciti c'è una targhetta con su «Fortunato Rosti - pittore» ma di dentro senti suonare il violoncello.

La camera della sua figliola è tutta bianca e rosa, ma lui dorme nel lettone alto, color caramellati, colle sagome, colle cimase e che accolse sua madre morta. Vicino alla finestra c'è un armonium. La Rita di là a notte fonda sente venire come un suono flebile d'organo... è lui che s'è alzato e cerca e persegue la falsa relazione di... tritono (fa-si). Lascio ai competenti giudicare il pittore. Leggereste - se ne parlassero - le solite frasi: «Gli impasti sapienti... la larga pennellata... i cieli ariosi...»

Una cosa è certa per Fortunato Rosti. Nessuno che dipinga in Italia ha la profonda cultura musicale che lui possiede e ben pochi il suo gusto e le sue possibilità letterarie.

Qualcuno dirà: «E questo cosa c'entra con la pittura?» Rispondo: «C'entra perché tutte le arti sono vasi comunicanti».

E con ciò? Nulla.

Ho scritto due colonnette sul mio più vecchio amico.