Ore di città/30

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Ore di città/30  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Oggi sposi[edit]

Dò il cappello e mi porgono una marca.

Entro.

Le belle sale terrene ove uno spirito fine e ordinato ha raccolto quadri di pregio, libri rari e oggetti d'arte, stanno fra luce e ombra. Gli invitati sostano alla soglia un attimo, indecisi. Se entrassero ad occhi chiusi direbbero: «Qui, c'è un morto». Difatti c'è un'aria calda non di sole ma di disfacimento... corbeilles, vasi, bouquets... quanti fiori! Sono disposti lungo le pareti, fiammeggiano sugli alti steli. I fiori recisi bruciano una lor vita breve ed intensa come le lampadine mezzo-watt in punto d'estinguersi. Li guardo. Che strano! Non so come possano piacere. Li agghindano bizzarramente, li intrecciano con nastri azzurri e rosa, li ficcano in praticelli finti, li «montano» come si suol dire con gusto macabro, li vestono, li ornano come piccole salme. Coltivati in recinti chiusi, nel tepore delle serre vivono i fiori di lusso per queste morti ufficiali. Cogli innesti, cogli incroci, a una specie danno le proprietà di un'altra. Ci sono rose rosse ed aperte quasi impudiche; ci son fiori candidissimi erti sui gambi. Guardali: sono sciocchi. Ammoniscono: no ci toccate. Son come certi bimbetti bianco-vestiti da paggi, da damine in rosa, che non possono né giocare né sedersi perché si sciuperebbero la vestina. Li osservo meglio. C'è in loro un che d'irrigidimento; chiusi nei graziosi lacci si tengon su, poveretti, a fatica. Reggeranno finché dura la festa. Verso sera, finalmente, si lasceranno andare e saranno più belli.

Da corbeille a corbeille qualcuno passa in punta di piedi, (dormono i fiori?), cerca i bigliettini nascosti, sussurra i nomi. Poi esce, e in giardino respira.

In giardino c'è il folto gruppo degli invitati. Non manca mai il signore in abito correttissimo da cerimonia che in auto, nel venir qui s'è pentito d'essersi messo così in chic. Rilegge il biglietto d'invito: «... un saluto agli sposi... (scuote la testa) ...e di mattina...» ...già, non dovevo - dice - non dovevo vestirmi come a un funerale... e se fossi il solo? Mi prenderanno per un testimonio...»

Appena entrato scruta in giro, scopre qualche altro che ha fatto le cose sul serio come lui e si rinfranca. Ho notato più volte che a una festa il festeggiato è l'unica persona che non c'entra e che, a dir vero, farebbe forse a meno dei festeggiamenti. Immagino così che se non ci fossimo noi ad importunare gli sposi sarebbero partiti un paio d'ore prima. Vorrei correr subito da loro ma mi manca un complimento adatto... una frase... «Congratulazioni vivissime»? (che banalità!) «Cento di questi giorni»? (misericordia!). Finisco miseramente col lodar il taglio della divisa militare dello sposo e il colore della sciarpa. Poi mi ritiro e sbaglio; dovevo restar lì a sentire cosa dicevano gli altri. Colle mani dietro la schiena faccio la ronda intorno al tavolo dei rinfreschi. So per esperienza che non ci si può fidare dei vassoi. Qui cosa ci sarà dentro? Cioccolato alla crema? Assaggio con questa idea e mi preparo il palato. Nossignori. Caviale del Volga! La pasticceria di lusso e le tartine lavorate sono come quei fiori di là. Le rose hanno il profumo dei garofani. Trovo un collega. Mi vede, allarga le braccia ed esclama:

«Mi pare ieri quando i bambini di Camillo giocavano in questo giardino e adesso... tre se ne sono già andati e la quarta parte oggi..» «... mi pare ieri!... Ah, mio caro, è questa una osservazione comune ma non tutti possono farla. Mi hai suggerito un augurio per gli sposi. Quando dopo vent'anni si può dire ancora: mi pare ieri, vuol dire che il tempo è passato quasi senza avvedersene come si passa una notte dormendo. Forse la felicità non è altro».

La mamma è in un crocchio di signore. Sorride, è proprio contenta. Il papà mi sembra un po' triste.

«Lo vedi - gli dico - anche la perfezione ha i suoi difetti. Vuota la casa troppo presto».

Che ora è? Andiamo? C'è qualcuno che va? Saluto? Non saluto? Potrei andarmene all'inglese come si diceva una volta perché qui non c'è neanche il pericolo di dar la cosidetta «levata» dacché siamo tutti in piedi. Mi ritorna quello stato di timidezza, d'imbarazzo che mi ha preso all'ingresso. In un salotto, come nella vita, è penoso l'entrare e l'uscire. Qualcuno si muove, lo seguo. Passando rubo una tartina.

Sulla porta una signora mi domanda: «Va via così? Non viene a vedere i regali della sposa?» «Ci vengo se mi promette che ci sono i doppioni. Si ricorda di quel grandioso matrimonio di qualche anno fa? Tutte le sale del primo piano erano piene dei più svariati oggetti, come una fiera di beneficenza. Quelli di casa avevano fatto in modo che i doppioni non si notassero disponendo gli uni lontano dagli altri; con tuttociò sono riuscito a contare otto piatti d'argento per i biglietti da visita!»

E se invece si avesse il coraggio di raggrupparli per categoria tanto i doni quanto i donatori? Di sopra - tutti in gruppo - i servizi da the, gli oggetti di cancelleria, i piatti d'argento e da basso, a un tavolo quelli del the, a un altro quelli dei piatti e a un terzo i signori dei calamai e delle penne stilografiche.

Ma intanto fra queste chiacchiere, ci troviamo in strada. Altra gente è con noi. Gli autisti accorrono. Cavano il berretto, aprono le portiere. I signori una volta salivano in carrozza. Oggi direi che scendono in automobile. Difatti si chinano con fatica verso terra come a sottoporsi a un giogo; le rosse collottole dei milionari diventano pavonazze nello sforzo.

Quando tutti saranno andati si comincerà a riassettare la casa. Via le bottiglie, i vassoi, i tavoli, le tovaglie. Troveranno i noccioli delle ciliege sotto spirito nei più strani posti. C'è sempre gente che non sa mai dove metterli e gira mezz'ora per nasconderli.

Verso sera il papà dirà alla mamma: «E adesso che facciamo? Si pranza?» E si mettono a tavola.

Nelle sale di ricevimento di là, ci sono ancora lungo le pareti tutti quei fiori che però cominciano ad appisolarsi. Un po' ne hanno regalati ma ne è rimasta la maggior parte. La mamma dice al papà: «Domani ne porteremo degli altri al cimitero». Ma il resto?

L'erba del camposanto la bruciano, ma i fiori finiscono nell'immondezzaio. Soltanto allora le cose tornano come prima.