Ore di città/16

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Ore di città/16  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Lui e la lettera[edit]

Viene non si sa da dove, l'ingegnerone; pare da molto lontano, perché ha le scarpe impolverate e una cert'aria afflosciata e stanca. In qualche parte della città s'è accorto che gli mancava qualcosa e s'è detto: «Anderò là». Viene al suo vecchio studio come se un vento lo spinga. Naviga. Torna a quel piccolo porto ove ammainò il soprabito per anni. Torna senza avvedersene quasi e a volte per niente.

Entra.

«Frr... frr...»

Pende un po' da lato, una mano gli trema... fa quel piccolo verso: «Frr...» frulla: è come un uccello che abbia un'ala rotta. Si siede: è distratto. Gli fanno la solita domanda: «Come sta?». Risponde: «Salve!» Poi si alza, va nella stanza che fu sua, l'ultima in fondo. Lo si sente parlare da solo. Parla spesso da solo. Dai suoi soliloqui esce infine una qualche richiesta formulata in una parolina. Ora chiede:

«...Gomin...»

Cosa? Gomin? Bisogna indovinare, ma non indovinano e lui torna di qua con una lettera e sei francobolli; due da venticinque, uno da cinquanta, due da dieci e uno da cinque. Vuole un po' di gomma per poterli attacar su, glieli hanno venduti senza. La gomma è applicata ed ora è lì con le mani incerte a disporli in bell'ordine nell'angolo a destra. La gomma si spande...

«Aah... aah... aah...» ...un francobollo si gira... l'operazione non riesce... «Aah... aah... aah...» Dubita, non sa come fare. Qualcuno interviene e la cosa va a posto. Ora guarda la sua lettera, perplesso. Non è soddisfatto. I francobolli sono troppi. Sei! E poi sono di colore diverso.

«Aah... aah... aah... sofferenza!»

Soffre... non può guardare la lettera; la mette in tasca. Prende il cappello.

«Salve!»
Esce.

Queste lettere in francese per l'estero, magari di cinque righe... che pena per lui! Che tormento! «A Votre honorée...» «... agréez, Messieurs, mes meilleurs salutations...»

Lui è mezzo francese, in casa tutti sanno il francese, benissimo, e c'è anche Rity che è specializzata negli accenti; le sottopongono il foglio dattilografato e lei... tac... tac... tac... fa piovere una pioggerella di circonflessi, di gravi, di acuti..., ma no, è impossibile, non vanno mai bene del tutto. Lui non riesce a congedarsi mai dai suoi scritti. Si agita... e quando la lettera finalmente è chiusa nella busta e la busta è sigillata, la strappa e la torna a guardare, a leggere, ad esaminare. Quand'era qui, con me, usciva, era già in strada, macché! Tornava indietro...

«Signorina... quella lettera...»

Non lo seguo, ma me lo immagino per via; largo, nero; veleggia. Ha la busta in una mano e va... Dov'è una buca per impostarla? La trova... sì?... no?... È andata! Ma si pente.

Partirà? Verranno a prenderla? Quando? Si guarda in giro! Cosa cerca? Il furgone della posta? Angosciato si tira il ciuffo a destra. L'ora della levata è qui sulla placchetta in basso. Non può leggere... le venti? Ma come? Sino alle venti?!

«Aah... aah... aah...»

Ha un fremito. Geme. Ha sbagliato e non c'è rimedio. Doveva andare alla Posta Centrale e non fidarsi di queste buche. Sarà infelice per tutto quel giorno...

Sta lì un po' in contemplazione delle due cassette di ferro l'una verde, l'altra rossa, indifferenti... «Lettere di città», «Lettere e cartoline».

... poi scuote il capo e s'allontana...