Èl sgner Pirein/Trasloco infavsto!

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Èl sgner Pirein/  (1920) 
by Antonio Fiacchi
Èl sgner Pirein

TRASLOCO INFAVSTO![edit]

_Caro signor Derettore,_

_Romma, 10 maggio 1892_.

Anche che a lui non c'importi, io desidero di dirci che sono infranto, scoraciato, causa quanto segue.

Comme saprà qui non vi sono i _sanmicheli_ propriamente detti, comme si usa nella mia cara Bologna dove l'otto maggio squasi tutti i mobili petroniani fanno una specie di primo suddetto, scendendo nella strada comme un sol vomo, a zigar sulle barelle, spesso feriti a morte, con el gamb ròtti o la pelle scuargiata, mentre gli uni saliscano, gli altri discendano, e spesso ruzzolano giù dalle scale, e i più cattivi sebbèin che j lighen com è salam, hanno il coraggio ed scapar vî dalla broza, e spacarsi il cranio sui sassi, comme mi successe una volta con ùn ed qui Napoleon prem ed zèss che un facchino anarchico, aveva mess a mia insaputa in zemma al carr, sotto cui, am arcord, ligà una caldareina che con melanconico dondolìo, secondava i sussulti del veicolo, rimpiangendo forse l'abbandonato ramponzino nella vecchia cucina, e spaventata sull'ignoto avvenire.

Bèin, questo stupendo spettacolo: una delle manifestazioni più simpatiche della intelligenza bolognese che dice: ah! tu cambi domicilio? ma lo voglio cambiare anch'io e nello stesso giorno..., accosì non sarà tanto facile trovare i vomini e i veicoli pratici della partita; e spenderemo un occhio della testa (del resto di occhi, propriamente detti, non ne ho mai visti che lì!) perchè giustamente, vogliono quel che vogliono e ricoreremo ai carri coi buvoi rurali, che, molti esperti a caricare delle canape, non sanno poi mettere su un canapè e succede non di rado che i metten di spicc' in fònd al carr, e sòuvra j armari e i cumà, con quale egatombe è facile figurarsi se si sa la fracilità della cristalleria in genere; bèin, questo stupendo spettaculo non si puvò gustare nella città dei Cesari... dovve: _tremendo egheggierà_, comme diceva la Norma presentendo forse lo scoppio della polveriera[1].


Ma turnand a Bulògna, dovve mette lei, sgner Derettòur, l'emozione che si prova in questa gran giornata, quant a mèzzdè non si sono potute avere ancora le chiavi del nuovo appartamento, perchè gli aquilini, si sono bistigiati col padrone di casa, che aveva la strana pretesa di voler la ratta di fitto e per farci dispetto, si tengono le chiavi suddette, e la fanno con me, nuovo arrivato, che non ce ne ho nè colpa nè peccato, come si suol dirsi, costringendomi a tenere il mobilio imobile sopra il carro, magari sotto la sferza della pioggia, che non so poi percossa abbiano dato la sferza al sole, mentre mi pare che la vera sferza l'abbia l'acqua che viene giù che sembrano proprio tanti curdseini d'arzèint.

D'altronde l'ott ed mazz, che piovi, nevichi o tempesti, an j è rimedi, bisogna andarsene a spass colle zangatoline famigliari, mostrando a tutti le proprie miserie, depositandole magari sotto un portico, se non si potè trovare il buco che vi convenisse, pagando prima, s'intende, perchè giustamente i proprietari non sanno disgrazie e dicono: una volta dèinter chi si è visto si è visto!...

Qui a Romma invece che è la capitale del Regno, si cambia casa comme i Ministeri quando si vuole, talchè nel cuvore della notte, si vedono dei Sanmicheli... di gente che per non incomodare nessuno se lo fa da sè, e così procurano al padrone di casa un quarto d'ora o anche 22 minuti di buon umore, quando la mattina trova sulla scala la chiave di un quartiere dal quale doveva avere il fitto di duve mesi, perfettamente vuoto, e senza aver modo di seguire le orme dei pazzarelli che ci fecero la burla, perchè, natoralmente, avevano dato un nome e cognome falso comme quasi dicessi j urcein che indossa la mî Ergiola, e d'altra banda dovve cercarli nella vastità di Romma che si sta dei mesi senza incontrarsi l'uno coll'altro? Ma l'affare delle picioni scadibili di mese in mese ha dei vantaggi che una persona d'ingegno può rilevare di leggieri. Pr'esèimpi, a Bologna si capita in una casa dovve la cocina ritiene il fummo e nosignore che bisogna stare per un anno a far la vitta di bucchein ed spomma o di persùtt ed Vignola, mentre qui as tôl sù arum e bagai e si va dovve ci sia una cocina più ragionevole e che facci il suvo dovere.

Per questa facilità dei trasporti che si verificano ogni giorno, vi sono delle società di fattorini pubblici, pratici di smaneggiare il mobilio, e così anche che lo rompino, si può accomodare facilmente.


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A me successe che per lo scoppio della polveriera si ruppero i cristalli della finestra davanti che per fortuna, erano di carta. Il padrone col pretesto della forza maggiore, non volle saperne di rimetterceli del suvo e diceva che toccava a me, io invece sostenevo che toccava a lui, basandum, baciandomi, sul concetto, che lo scoppio di una polveriera non è cossa che succeda proprio tutti i giorni e che nessuno poteva prevvedere primma che succedesse, dunque per stretta locica, comme disse un avvocato che interpellai, doveva pensarci lui... e lui forse ci pensava, ma un bel pensier non fu mai un lastrone! comme dissi io per far la materiolina, e doppo che ci fummo presi un bel mamone per cadauno, io, la Lucrezia e la mî cara Ergia, dormendo sòul con i tlar che tengono poco, disdissi regolarmente il contratto e fermai un bel quartierino al primo piano, cominciando dal disopra, in via: _Testa spaccata_ che, comme sa, rimane vicino a via _Macel dei Corvi_, nomi di strade che fanno venire la pelle ochina e vi fanno pensare a duve appendici del _Secolo_ o a duve drammi di Ulisse Barbieri, invece sono le strade più pacifiche e più... sporche della vecchia Romma, amess che la Romma giovane sia meno sudicia di quella che là.


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Il quartierino fava al caso nostro e io lo fisai, depositando duve mesi di picione, e pagando all'esattore incaricato dal padrone, anche il primo mese anticipato comme si usa. Essendo vuoto, ai pseven andar a nostro bene placido, ma quel donn, per far le cosse in regola ci volero andare doppo un mese, cioè quanto cominciava il contratto. Allòura a tolsen due fattorini con una bèla brozza e combinai il prezzo, più un fiasco di vino per la suva buona grazia.

Il corteo era accosì composto: dinanz il caretto che uno tirava e quell'altro spingeva, comme si usa anche fra noi quando non vi sono asini, mulli o altri quadrupedi, con sopra il nostro mobilio, che contrariamente all'uso del paese, quel donn j aveven vlò spulvrar, mentre in generale, qui nei traslochi as porta vî incossa: el tèil ed ragn, la pòlver alta un dit sù int i armari, e perfino le tende le tolgono tal quali dalle finestre con i ridò, i fir e i curdon, nigher comme la fuga, e coi ragnetti ed altre bestioline, che scorazzano spaventate e spiacenti di dover faticare al nuovo domicilio a rifabricarsi la tela.

La mî Ergiola invece, contraria alla massima: «Paese che vai usanza che aritrovi» volle pulir tutto, e volle asistere al caricamento del caretto che comme dissi, apriva la marcia. Alla destra, a j era me, cun il Dvomo di Milano, di carta intaliata, dirò accosì, un mio errore di giovinezza al quale però ho afezione perchè am custò dla fadiga e otto soldi di gomma, che allora era di quella vera arabica, brisa com è quella d'adesso che as lècca, as lècca e l'è l'istèss che niente. La mî Ergia, puvreina, l'aveva in brazz la sô tulètta, coperta se vogliamo da un burazino il quale lasciava però che si vedessero le forme dell'oggetto in questione. La mî Lucrezia l'aveva dsfudrà una bursa ed pèll, che io a dir la verità an j aveva mai vesta, un aricordo di un suvo fratello morto in Russia congelato con Napoleone il grande, e ci aveva messo dentro le gioie della famiglia, poche e, per la maggior parte, matti, pazze, e in brazz da ql'altra banda l'aveva ùn ed qui bambinein ed zira che sembrano vivi, e che lei tiene caro perchè dice che assomiglia alla nostra Ergia quant l'era ceina.


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Il tragitto dalla casa vecchia alla nuova era lungo e faticoso, èl sòul al scùttava e propri ed bèl mèzzdè si toccò di traversare la piazza dei cinquecento, che si chiama accosì perchè non cè mai un'anima. La Lucrezia avendo le mani ingombre non potette ripararsi coll'ombrellino da quel sole, che pareva di pasare la zona torbida, comme diccano i viaggiatori, o quando fummo all'ombra, s'imaginano mo? Il povero bambino era colato; la testina l'era arstà una balutteina tònda, che pareva il pomo d'un bastone, e il resto del corpo l'era andà in consumaziòn sicchè as vdeva èl fil ed fèr dello scheletro a trasparire. Non ci descrivo la disperazione d' qla povra dona, e la suva rabbia nel vedere che i fattorini, quella birichinella dell'Ergia ed i passanti, favano le più grasse risate per quella cera che se l'era fatta di cera, sotto la cappa del cielo.

Io la rincorai dicendoci che era meglio si fosse disfatto quel bambino che lì che la nostra cara figliola, e dietro questa giusta ed afettuosa riflessione non fece più lamenti e decise d'utilizzar la testina, comme ha fatto, pr'inzirar èl rèif da cuser.

Finalmente giungemmo alla meta e a cminzipiaven a dscargar, quant veins fora èl purtir, e con modi cortesi, perchè qui la cortesia è all'ordine del giorno, al fa, al dis:

— Che tu possa morir amazzato! o che ve salta la fantasia de portar qui sti stracci!

— Stracci?! a fazz me, mo prima di giudicare facci il piacere di guardar pulito. Sòul ste quader che è di buona mano...

A seinter a dscòrrer di buona mano si fece subito più dolce dicendo:

— Ma che vieni a far qui, sangue delli mortacci tui, che è tutto pieno!

— Tu hai voglia di scherzare, a degh me, tuland fora il mio bravo contratto di fitto...

E l'amico nel guardarci comincia a macellarsi dalle risa dicendo:

— Quello vale molto! L'è fatto dal sor Pagliacetti, l'esattore che è scappato col vostro e tanti altri depositi, e il padrone si è messo ad affittare per conto suvo e qui ora tutto è pieno...

Non ci nascondo che parve proprio che mi venisse un colpo!... ma pensi alla nostra situvazione?

Scusi bene, sgner Derettòur, cossa avrebbe fatto Lei, con buon rispetto, nei miei piedi?!

Lo sa lei? no?!... e neppure io!

Tersuà a lòur sgnòuri.


Dall'_È permesso?..._, 15 maggio 1892.

  1. Il 23 aprile 1891 scoppiò a Roma la polveriera del Forte Portese, fuori della Porta omonima, producendo gravissimi danni.