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Èl sgner Pirein/San Michel

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SAN MICHEL

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_Caressum sgner Derettòur!_

A tanto intercessor nulla si nega, dseva quèl ch'j assaltaven con èl curtèl alla gòula... e cossì dicasi di me che non potrei mostrarmi negativo alle suve preghiere, quantunque a dirla stièta, an sia brisa int el mî pigh, com dseva quèl ch'era arpiatà int la cassètta d' la stû e via discorrendo.

Che si figuri bene sgner Derettòur, che doppo quella cara battosta per Padre Agostino[1] che come saprà im rumpenn, con bòn rispètt, una custa, nel sortire da S. Petronio, se ce lo debbo dire, an sòn più sta me, e quanto vuol fare il tempo cattivo sento delle fittole nelle parti offese che vedo le stelle...

Ah! ma se ci dovessi descrivere che momento che fu quanto me la ruppero; già venni meno e più èl mal em cherseva, e me sempre più venivo meno, ed mod tal che a srev andà a finir int i nient, se mercè la cura della mia Ergia coadiuvà dal piantòn ed S. Ptroni, che con quella forza da leone di cui può disporre pr'el sollenità, mi sollevò di peso e ajutà da altre otto o dieci persone, mi trasportò alla ditta Zanelli sotto il portico della Banca con terra cattù romantica. Èl sgner prof. Gambarein mi osservò la costoletta mancante, ossia che si era stroncata causa un gòmd di un gentile signore che voleva passare per forza, e mi disse che non era niente, e che mi facessi coraggio... Io poi dicevo fra gli spasimi del dolore, perchè si ha un bel dire che non è niente, come diceva lui, ma ognuno si sente il proprio, e per parte mia bisògna che a degga che l'era grand dimondi e lo sa bene la povera Lucrezia che ci toccò, poveretta, ed far la nott sterleina, stellina, per i bagni freddi e per gli ululati che gettavo fuori da svegliare gli aquilini che stanno disopra.

E tùtt per causa ed qla braghira dell'Ergia che, poverina, si era accosì infanatichita ed quèl brav predicatòur, che lei tutti i giorni la vleva assistere alla salita in carrozza... e finalmèint un dè, am tuccò qla bèla bazza comme sopra.

Basta, adèss ha fatto gomma e consoliamosi perchè am pseva capitar ed piz; am arcord un mî amigh, che cadde e si ruppe la chiavicola dalla parte sinistra che lo curarono a forza ed balleina da stiopp, quella che fa tanto male agli uccelli nel tempo della caccia.

Bèin dònca, in quèl mèinter che avrei bisogno di stare in riposo per paura che mi si stacchi di nuovo, sissignore che mi capita fra cap e col, e cavolo, èl San Michel, che èl zil l'ava in gloria, chè un'ammazzamèint, un'uccisione, cumpagna non l'augurerei al più celere nemico! La Lucrezia puvrètta i va a vgnir in mèint che la sia una cà poch sana, perchè dònca am s'è scavzò la custa a me, perchè a l'Ergia ai fe mal dl'arvèja e delle altre superstizioni. D'altronde io non fui buono di farcelo entrare in testa, e bisognò che mi cacciassi a zercar casa. Infatti passando per la vî di Malcunteint a vèdd dû che guardavano alla casa Coloniesi con dei gesti.

— A fazz, a degh: Scusino, è d'affittare?

— Sissignore, risponde lui.

— Quante stanze, s'l'è lèzit? a dmand me.

— Quattro stanze e la cucina, granaio, cantina e èl stanziein del galleinn!

— Eh! ma qui si va col vento in poppa, com dseva qla balia ch'era ai zardein quant veins l'uragano, fa proprio per io, a dess me e da chi mi debbo dirigere?

— Ecco, questo biglietto serve per lo scritto, lei l'otto maggio si presenti con questo e ci saranno consegnate le chiavi. L'affitto è 250 lire!!

Mo cossa ci debbo dire?! L'è un atto di fiducia, che me a n'ho nè parol, nè caldareina, bastevoli per dirci la mia gratitudine, e vî che andai felice come si può imaginare. El bigliètt al dseva, tutto ben stampato: «_Gaetano Serrazanetti rovina orologi. Da San Gervasio presso l'Hôtel Brun_». Dònca me a j era int una bòtt ed fèr, com dessn'i maranghein ch'arrivonn alla Banca, e come chiunque avrebbe fatto nei suoi pagni, me an pinsò più ad alter.

Mî mujer, el mî fioli, vleven pur savèir dov l'era sta cà, ma io le volevo tenere nell'aceto, com è i pevron, e gli rispondevo col vecchio adagio: al cemento si vedrà!! Agli otto maggio lo saprete! talchè misero il suo cuore in pace come di regola, e prepararono il tutto pel San Michele Arcangelo. Intanto ci eravamo tolto l'encomiato e la nostra cà appena si seppe, i l'affitonn sobit a una che tiene di dozzena, quanto venne a vederla che ce la mostrò mia moglie, l'aveva sigh dòu ragazzi che alla zira el pareven furastiri, vestite tutte di raso, e infarinà che parevano da friggere.

Finalmèint vein i ott ed st'mazz. Quell masti del mî fioli en vdeven l'òura d'andar alla cà nova e per savèir dov l'era. A cumbeinn con un umarèl, che ha una bella biroccia, e po a toi un alter dsgrazià e si prepara la prima carica di diverse ciangatole, e me glorioso e trionfante ci faccio strada con int'una man le tre grazie del Casanova, in gesso, ravoltolate in un _Secolo_, da quell'altra parte, la Madonna dla scranna, che è una bellezza, e in bisacca il mio vecchio biglietto.

Quî pover umarì si adannavano a tirar sta brozza carga pulit, che ci si accoppavano sotto, e a tors dalla porta di Castiglione senna in Via Malcontenti l'è una bèla agugliata.

Alt! a fazz me, giunto che fui alla casa Coloniesi, e faccio per suonare alla porta, quant im disen: se non è addetto ai lavori, an va megga dèinter!

— Che lavori?!

— Ohi, an vèdd che i la fecchen zò?

— I la fecchen zò?! Difatti alzo gli occhi e cossa veddo? Il suddetto atterramento. Allora capirà bene che giustamente a zèirch di quel signor Serrazanetti... per dir le mie ragioni...

Mi si gettano a ridere in faccia come fossi un mentecato!

E quî dalla broza bestemmiavano comme turchi, e si cominciava a formare dei campanelli di gente, di ruglett com a dsèin nualter.

Finalmèint passò una persona che si capiva istruita e di grande ingegno, che la saltò fora con èl dùbbi che mi avessero tolto a gabbo, e mi consigliò di persuadermi che una casa in demolizione non si poteva abitare.

Com s' fava mo con quel donn della casa vecchia, che j asptaven ansanti che le guidassi alla cà nova? E là che quèlla del duzinanti l'aveva zò cminzipià a purtar un pianoforte vertebrale, una bèla spcira, un divano rosso, e tanti bei quadri da non potersi descriversi, non poteva più servire a noi. Dònca tradott in vulgar as trattava che un pover galantomen e la sua famiglia si trovavano in mezzo ad una strada, senza tetto, sèinza tètt, cossa che se a me non procurava forte disagio, am figurava èl dspiasèir ed quell donn, che doppo tutto si sa che ci tengono e giustamente, perchè la casa è il nido della famiglia. Viva la fazza ed quî ch' viven con la tèsta int èl sach, com è i cavall di fiaccaresta, almanch lòur non hanno di queste noje, che ci assicuro che danno pensiero.

Eh! lì c'era poco da pensarci sopra, si trattava ed rimediari e alla svelta, e così fu fatto.

A cminzipiò a vangare nella mia mente tutte le conoscenze che per sua buona grazia avevo, e po via con la broza drî.

Da ùn, che va sèimper a lètt frèdd, ai depositò èl prit, che al l'aggredè dimondi e così via discorrendo: da un alter quatter scrann, da ql'alter la ruscarola, da di alter el trèi Grazi, fenna che sono riuscito a metter tutto al coperto. Capisco ch'l'è un po' incomod perchè pr'esèmpi èl mî cumà a l'ho mess da un amigh alla porta ed San Flis e quant am vol un fazulètt da nas, bisògna che a vada senna là, da fuori di Galliera perchè nualter si siamo rifuggiti colla sola vitta, in casa d'una cuseina ed mî mujer, che si ha messi a durmir int la medesima e che abita alla Zucca.

L'Ergia, èl sô tavlein da lavurir lo ha consegnato a una cumpagna che sta in via Orfeo e l'alter dè per darsi dei punti non so dovve, bisognò che a la condusess senna là; l'am par lùnga! com dseva quèl ch' guardava alla tòrr di Asnî!

Basta, adèss mo mi hanno promesso che appena finè la via Indipendenza, un quartierino sarà a nostra disposizione, e a dirla propri senza l'ambagi ai n'ho pein el scattel, cossa che non possono sempre dire quî ch' vènden i sulfanein.

La vitta nomade è fra i miei ideali, sissignore, ma fatta stando fermo in quel sito medesimo, ma quèl correr a cà da quèst e da st'alter per tor e la pistadura, e la rameina, e poi adoperati che si siano riportarli ai singoli domicili, perchè mî mujer giustamente non vuole che si confondino con quelli di suva cucina, l'è una cossa che a lungo andare la finess per far male alle piante, con buon rispetto, dei piedi.

A colmare po la misura ed sti noj, che facci mo la gentilezza di aggiuntarci che l'Ergia l'è sta ciappà, accalappiata, dall'impressione dei nervi per l'affare dell'idrofobia, che adèss purtropp è venuta in voga, che il ciel lo liberi anche lui sgner Derettòur, che lî puvreina appena che vedde un cane che viene in za, lî l'am scarta e vuol rivoltare indietro con dei versi, che la par allujà... e dice che non può vincersi... e che non può vincersi, e anche qui ci vuol la pazienza di Giacobbe, che poveretto dormiva nel concime senza idea d'ingrassarsi.

E anche se hanno la musarola per lei è lo stesso; si vede proprio che l'è effetto del sangue, che comme giustamente osservano gli scienziati, non è acqua.

Del resto anche questo passerà, come passano tutte le cosse di questo mondo, e lui mi deve perdonare il giusto sfogo d'un povero vomo con una costa accomodata di fresco, senza tetto proprio e con una fiola impressionata pei cani di qualsiasi razza.

Tersuà a lòur sgnòuri.


Dall'_Ehi! ch'al scusa..._, 13 maggio 1885.

  1. Padre Agostino da Montefeltro, frate predicatore che suscitò vivissimo entusiasmo col suo quaresimale in S. Petronio.