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Èl sgner Pirein/Prendi marito!!

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PRENDI MARITO!!

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Se la ricordano, la Clelia, quella povera ragaza invachita del granatiere di dire che fava l'amore da sè perchè lui non se ne dava per inteso, sebbèin lî povra ctà sospirasse com è un suppiadur ch'hava ròtta la pelle di contorno; e, giacchè ci sono, noto, accosì di pasagio, comme questo dòp el stû e le cucine a gas, sia diventato uno strumento fuvori d'uso, e scometo che vi sono i nati della classe 1899 e anche primma che non sanno cossa sia?:

Èl suppiadur, perdonino la degresione, era una specie di polmone artificiale che tirava il fiato per un bligolino e lo mandava fuvori da un cannunzein sottoposto, spingendo per aria la cenere; ficcand vî el bras e facendo ardere il fuoco quand era finè incossa.

Sicura, alla Cleliùzza ci è capitato un buon ragazzo che sta nella stazione a dir: «Partenza per la linea di Milano, Torino, Genova!» con una voce robusta, sapendo quelo che dice, brisa da papagal, la quale ripete ciò che ci insegnano, che se un furastir ci domanda:

— Scusi, è partito il treno di Romma?

  [Illustrazione: L'ERGIA]

Lui ci risponde:

— Quello per la città dei Cesari, va via alle 21 e 30!

Facendo capire accosì coi Cesari, che conosce la storia antica, e con il 21 e 30 quella moderna.

La paga per ora è pochina, ma i superiori, conoscendolo accosì struvito ci hanno promesso un avanzamento, e se non ce lo danno dentro l'anno, per quest'altro è sicuro, e allora passerebbe nell'interno a dire: «Sortita! Sortita!» con due filetti int èl bertocch.

Lui è solo; suva madre, poveretta, ci morì nel dare alla luce suo fratello, il padre non lo ha conosciuto di persona essendosi estinto prima che venisse al mondo; e soltanto l'ha in fotografia, quasi scomparso, perchè allora non ci facevano i bagni per fermarli, e i poveretti, nella stagione estiva, se l'aviavano pian piano, lasciando soltanto j ucc e i cavî ritoccati colla china... che allora non era neanche Migone.

Ma mentre lui si capisce che ha preso la scufia, lei ha sempre il pensiero a quel benedetto ufficiale che quando lo vede, la dis che si sente èl solit calzèider d'acqua frèdda giù per il filone della vitta; il cuore ch'i dà del zampà int èl pètt, com è un can assrà in cà, e el gambeini s' pighen com fa quî meter ch'i porten in bisaca j inzgnir.

La dis:

— Signor Pierino mi consigli lei, cossa debbo fare?!

— Fiola cara, a fazz me, non lo sai, che la vitta si divide in duve parti sostanziali. Quella fantastica, che se la fa e se la dice dentro al pomo di quel bastonzino che si chiama il vomo, il quale senza spendere un centesimo si crea delle gioie, delle felicità, dei gavdi incredibili. Poi viene l'altra parte che l'è quella buvona ciovè le esigenze fisiche di dire che bisogna formarsi una posizione; e qual'è cara la mî Cleliùzza, la posizione della donna? Cè poco da eludersi, se non ne ha del proprio, bisogna accetti quelo del vomo, che ci dice comoso: Ecco il pane bagnato col sudore della fronte, mangialo per amor mio e declina il tuo capo, doppo che ti sei liquefatto èl pulptunzein tratenuto dalle forcinele, su nel cuscino di crine vegetale. Cossa vuvoi rispondere, ragazza mia, a un galantuvomo che ti offre un par ed linzû nuv, un po' ruvidi sulle prime, ma che non tarderanno a far la plùmma; un letto di ferro con degli efeti di luna utgnò con la madreperla; una spartura in cuseina che puzza d'olio cotto; delle oleografie rappresentanti «Otello e Amleto» pagabili a duve lire la settimana; una sveglia ch' salta pr'èl cumà per essere puntuvale all'uficio e le scranine gialle impagliate a colori. Cossa vuvoi pretendere di più?!

— Mi è antipatico!

— Oh, è quistione di abitudine, eppoi fino a che lasi atacata al chiodo cardiaco l'efigie ed quèl capitani che se ne inziffola di te, l'è inùtil, tutti ti sembreranno brutti, antipatici e che so io. — Ma se ti muvore tua zia, poveretta, che il cielo te la conservi, com èl pèver èl mî paltò da inveren, cossa vuvoi fare, disgraziata?!

— La maiestra!

— Ma se non hai la patente! E poi anche che l'avessi, credi che sia facile trovare il collocamento di dire alla cantonale di Sant'Isaia o di Azzo Gardino?

Sono obìe, cara la mî ragazzola, il vero mestiere della donna è quello di essere la madre dei propri figli, artesta egreggia che fa delle statovine movibili sèinza che ai sia bisògn ed cargarli dedrî; che diccano papà e mammà sèinza che abbiano nello stomaghino una pivetta o un urganein. Tu mi dirai: Ma si prova del male! Fiola cara, in tutte le cosse prima si soffre e poi dopo si sta bene. Quand èl barbir vi raschia la faccia, av fa vèdder el strèll doppo vi lava coll'acquina profumata e provate un godimento intellettovale da non dirsi; un contadino vi schiaccia un piede con tutto il suo peso, e voi provate uno spasimo atroce, ma quando si decide a cavars la scarpa, provate un sollievo senza precedenti.

— Ma, questo lo capisco se sposassi il mio ideale...

— Eh, ma non dire delle siocheze! l'ideale è una cossa di lusso, com è la emicrania e le giaretiere da cinque lire, che io poi vorrei sapere a cossa serve a spendere tanto, mentre se si ha intenzione di stare comma si deve, andarè bèin anch un sfurzein... Diccono: ma se tira del vento?! Eh, cossa vanno a pensare!! Se mai, se le mettino di marzo e basta.

L'ideale l'è comme la propria ombra, che a si corr drî e non si ragiunge mai, che ora è lunga, ora è corta, òura l'è dinanz, òura dedrî, conforme la luce che la proieta, ma per quanto tu facci, resta sempre sola, e non cè dubbio che tu ci vegga spuntare per mano un ragazzol che saltella giulivo a caio, conscio che

   Il mondo è una danza
   Corriamo a danzar!

Se aspetti ed magnar dell'ideale in umido, farai la fine di quella pulce che nacque col pudore di dire di non voler andare dovve vanno le suve compagne, perchè aveva pavura di stare al buio, e morì d'inedia.

Aldvighein, l'è un ragazz, che puvò arrivare sino a capostazione con dei filetti di più del tuvo capitano; che ti farà star bene anche quando sei malata, mentre se prendesi un'altra carriera, se si sta poco bene spesso, o vi licenzian, o nessuno vi guarda più. Pensa che ti condurrà all'Arena a sentire la Signora dalle Camelie, in casa tuva sarai la gran padrona, e se qualche volta per un malinteso ti dovesi prendere un smataflòn, pasata la burasca, proverai la gioia inefabile del rapatumarsi: ma solo la parola non ti dà l'edea ed spazzar vî ogni lordura dalla strada della felicità?!

Va là, va là e fa prèst premma ch'al s' pintessa.

— E se quando sono legata, eternamente legata, dovessi incontrarmi in quell'essere che è l'anima dell'anima mia?!

— Ma cossa vai a pensare a sti sciucchèzz, bazzurlòuna! Non si sa che dov magna ùn magna dû!...

Tersuà a lòur sgnòuri.


Dal _Bologna che dorme_, 20 luglio 1899.