Èl sgner Pirein/Pinguedine ariosa!

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Èl sgner Pirein/  (1920) 
by Antonio Fiacchi
Èl sgner Pirein

PINGUEDINE ARIOSA![edit]

_Sgner Derettòur!_

Hâl mai vest un pader furibònd? Che mi guardi io e ne avrà una pallida edea, perchè a sòn smort com è una pèzza lavà, ben inteso. Vergògna! non è il modo quello che lì di mettere nel repentaglio l'amòur propri del genitore che l'ha riposto tutto nelle sue creature, zercand che venghino su abbastanza nutrideini. Ma sta a vèdder adèss che ci debbono essere le misure decimali altresì per il corpo del vomo, il quale quanto andava a scola dicevamo che vale anche per la donna, se si usa pel genere umano tutto intero, preso colativamente!

El j ein coss turchi! dseva quèl ch'j impalaven, che si abbia da vedere esposte nelle vetrine... oh! mo cossa dirà Sant'Agata, megga il professore[1], che lui poveretto son di quelle cosse che non se ne occupa, ma voglio illudere propri a lei che è la protettrice.

Al dis: sono di gomma! sissignori nessuno vuol dire all'incontrario, ma Dio buvono, cossa importava a scrivercelo di sopra?! Mettere accosì l'alarme nella popolazione... i dubbi nei gioveni, il desiderio della verifica, e che soja siasi di me...

Si sa dove si comincia, ma non si sa dove si vadi a finire, dseva quèl ch' ruzlava zò dal scal.

Ah sgner Cassarini[2], lui mi ha amareggiato l'esistenza, e perchè?! Lui dirà... Perchè l'Ergia che è vogliosa di tutto ciò che è il progresso... l'ha cominciato a dire: Vadi là, papà, me ne compri, me ne compri!!

— Mo, Ergia, senna adèss ti sei contentata accosì, che infine poi ve ne sono di quelle che sono orfane adderittura, e perchè tùtt int una volta t' vû armettert, mentre chi ci rimette sono io, che chi sa cossa costano, che fanno pagare la novità e l'asparmi del nutrimento come sopra.

A crèdd d'avèiri dett altre fiate che la mî ragazza è di fondo buono, ma nella superficie l'è testarda com è un mùl, e questo gli provi la mia parzialità anch se parlo del proprio sangue, ch' l'è la cossa più cara che ci fosse al mondo fenna a l'alter dè, mo dòp la spèisa che ci narro, la cossa più cara l'è dvintà quella che lì, e poi resa inservibile dentro la giornata, come ci spiegherò in avanti.

Dònca la mia voce persuasiva a nulla valse: el rasòn che gli diceva la mî Lucrezia, lei poveretta che si è sempre contentata del proprio stato, non gli fecero nè caldo nè freddo, cominciò a calpestare i piedi e a zigar digand: Le voglio!! le voglio!! che la pareva un ragazzol lattitante, quand la balia l'è fora ed cà.

Cossa avrebbe fatto nella mia sitovazione? Siamo sempre lì, a stare stranei, as dis: bisògna èsser furt, ma quando si hanno le mani in pasta, dseva qla serva ch' fava la spoja, non si ha il coraggio e si cede com fa la gòmma... Accidenti!! alla medesima, che era meglio che non l'avessero scoperta!

Basta, si facci anche questo sacrificio, e via che andassimo da San Salvatore.

La ragazza, dopo tanto diavolerio, non s'attentava di dire con quello di dietro al banco: vorrei... accosì e si volle esprimere colla mimica di dire, tacendo, le parole, — ma lui non capì bene e ci disse che se aveva male allo stomaco favano bene j odur ed potassia, gli odori di potassa.

Ecco ùn di cas in cui il padre l'è in obligh d'intervgnir colla esperienza del mondo, per estrarre dall'imbarazzo qla povra età, ch'era dvintà ròssa causa il giusto podore, e faccio, a degh: — Si tratta di cossa puramente esteriore che è in mostra...

Allòura capì e ce ne fece vedere, spiegandoci il macchinismo di dire bisògna suppiari dèinter a piacimento, conforme il desiderio e la larghezza dell'abito, perchè as sa che ogni cossa ha un lemit, com dseva quèl ch' stiuppava!

Stettimo lì a stiracchiare e finalmente si combinò in un prezzo, che an i degh èl prezi, mo per le mie finanze assai gravoso: ce le incartarono, e vî a casa drett, che qla mattazola non vedeva l'ora di provare.

La Lucrezia e l'Endricca, per quant facessero le disinvolte, as capeva che le avrebbero desiderate, e questa quì diceva: Ergia! me le impresti una qualche volta?!

— Non voglio far altro, arspòus sùbit quèl spiricecc, che ha un po' il defetto del govismo di dire: Dio me la diede guai a chi la tocca! E questa preposizione che disse Napoleone 1º, quanto era dentro nella corona ferruginosa, io potrei dirlo dla mî Ergia che l'è sbaldanzosa, incapace di dare un sorcio d'acqua anche se morisse di sete!

Basta, io per mettere la pace in casa, a dess int una urèccia all'Endricca che se stava buona e che abozzasse, arev vest di procurarcene, sèinza grave dispendio, perchè una volta cgnussò la teoria sulla quale is basen, si baciano, se ne possano costruvire in famiglia.

L'Ergia intant smaniosa di fare l'esperimento, la si era già applicato il macchinismo, e la povra Lucrezia, suppiandi dèinter come sopra, otteneva quella misura prestabilita.

Bisògna cunvgnir però che non pareva più lei: sembrava che fosse successo uno di quei cataplasmi che i descriven nelle storie, quand le pianure diventarono montagne e il mare diventò terra e lascia pur dire, che di liber a j n'ho vest magara.

Figurarsi, sè qla bazurlunzèla vleva star in casa, adesso che era accosì ben pasiuta, mo gnanch a dirlo! infatti: Vadi là papà andiamo a far due passi, mi conduchi dalle Sberli! che sono suve amiche, compagne di educandato, quand j andaven al scol comunal, che non è per menarmi il vanto, mo per l'educazione delle mie figliole a n'ho mai guardà a la spèisa!

A la guid dai signori Sberli, eccelenti persone, gentili, che non si va una volta che non vi esebiscono dell'acqua di limone, che la fa lui, che l'è buonissima perchè non si sente la parte limonacea che è quella, com dis èl sgner Aldvigh, che fa spadere i denti e gnanch il dolce dello zucchero ch' fa la nauvsea di dire: guasta l'appetito e rovina l'indigestione.

Appènna che si presentiamo, l'as veins avrir la sgnera Cleria e la fa: — Oh chi è que?!

— Mo de' sù Ergia?! T' scherzerà? ma comme ti sei rimessa!!! Ragazzi vgnî bèin que, vgnî a vèdder sta visita... mo ît sta in campagna?! Vèner quant at incuntrò, ch' t'êr con la mammà, an m' n'accurzè megga ed qla gnexa!!

Intant era arrivà anch el ragazzi, puvreini, che sono piuttosto magrine, el guardaven mî fiola con occhio fra èl surprèis e l'invidiòus.

La granda, che si doveva far la sposa e che poi andò al monte, la dis:

— Mo Ergia, com t'î bèla! Sat ch' t'î grassa nezza...

Io che so capire le sitovazioni, vdènd che mî fiola si confondeva, a fazz a degh:

— L'è un fatto che da tre giorni che toglie l'olio di merluzzo, si trova molto contenta e la si va mettendo in carne... e tanto per divacare il discorso a degh:

— Eh! dovve manca natura arte procura, dseva quèl ch' s' mitteva j ucc ed vèider! Cossa volni vèdder!! Finire queste parole, e l'intera famiglia Sberli ficcars, slanciarsi int una risata, fu un punto solo.

L'Ergia, puvreina, si toglieva sempre più giù, e squasi squasi ci minacciavano le lucciole agli occhi.

La più grande però, quella del matrimonio sfumato, capì che non istava bene quell'indecenza del riddere, e prese l'Ergia per mano e si misero a chiarlare, in quèl mèinter che quelle altre mi vollero favorire la limonata, che era all'ultimo grado della perfezione, perchè an s' sinteva nè l'amore del limone, nè eziandio quèl del zùccher.

La sgnera Cleria venne a farmi una massa di finezze e el sòu fioli el j êren là tùtti d'intòuren all'Ergia a abbrazzarla e striccarla e io, a dir la verità, a stava un poch in pènna, perchè soia me, el dsgrazi el j ein sèimper preparà; è vero che saranno robuste, ma tuttavia...

Finalmente, se ne andiamo, e quant a fonn fora, l'Ergia l'am cònta l'angostia che ha provato, perchè volevano il modello del corsetto e che se lo cavasse lì di là.

Per fortuna che c'era venuto un lampo, una losna ed geni, dicendo che i pton dèl cursètt erano accosì cattivi da fiubbar, che ci voleva èl fiùbbaguant tùtti el volt.

Con sta stasunazza incostante, che dei momenti è caldo e degli altri tira un zefiro freddo da ficcar per tèrra un omen, si era alzato un po' d'aria fresca, e a fazz con l'Ergia: — Tienti ben appuntato lo sciallino lì davanti!!

En l'avessia mai dett, che lî, puvreina, obbediente agli ordini del genitore, si punta un uguccione proprio sovra il seno, in quèl sit che i canten int la _Sonambula_.

Me a seint un feschi, come se partisse una locomotiva, con una currèint d'aria che mi viene nella mia faccia, mo un cvèl che proprio si sentiva ch' era aria di famiglia!

A guard a l'Ergia e la veggo impallidire int èl mustazz, e, un momentino più giù, a turnar nello stato di prima!!!

L'infelice, si era perforata! Il dispendio del padre, le fatiche della genitrice, tutto _fiato_ sprecato; in un istante le cosse erano tornate allo stato primitivo...

Lî puvreina, la non sapeva in dove mettersi. Dû zuven che ci erano all'impàri, a vèdderla a dimagrire così a vista d'occhio, i dessen sùbit che si trattava di tisia fulminante, perchè erano di quelli che ci diccono gli studenti di Medicina, mentre non sono di quel paese e vanno all'università.

Ma, non risposi, e me la cavai con un atto di testa.

L'Ergia che lungo lo stradale, n'aveva mai avert bòcca, appènna a casa, la dè int un ròtt ed piant, in uno spezzato di pianto, tant più quant l'Endricca la j cminzipiò a dar la fuga, il camino, e a diri: — Ti sta bene, ai govisti magari il doppio!

A n'ho rasòn d'essere fuori di sè, pensando che dòp aver speso tanto, mi è rimasta la figlia sècca stlà, stellata, come era in antecedenza?

J' han da dir quèl ch'i volen, ma el coss d'aria, se an s' branca in robba ed premma qualità, el duren da Nadal a San Steven.


Dall'_Ehi! ch'al scusa..._, 7 aprile 1883.

  1. Domenico Santagata, professore di chimica all'Università bolognese.
  2. Farmacista in Via Porta Nuova.