Èl sgner Pirein/La gelosì
LA GELOSÌ
[edit](FRA ME E UNA SECCATURA)
— Che cossa è la gelosî?
— La gelosî l'è qla gradleina ed lègn ch' sta int el fnèster ch' guarden sòtta al portgh, comme risponderebbe uno stupido per far dello spirito.
La gelosî invezi è il colmo del govismo in amore.
Al dice: — Si deve aver fede nella fedeltà della donna che si ama... — Va benone, mo quando si è struviti e si è sentito il tenore che canta: «la donna è mobile» e lo dice frulland una scranna, e spesso il pubblico ne chiede il bis, diciamo bene la verità, anche il vomo più cieco, l'avrà un uccein in fèssa, per sorvegliare la sitovazione di dire: ma ho io abbastanza attrative per fermare «la piuma al vento?»
E si guarda nello specchio e ci pare di essere meno bello di un altro che baziga nei pressi della dona del cuvore, vestito all'ultima moda, con qualche baiocchino in tasca... e sente che se la fanciulla li mette sù int la balanza della vitta pratica, lù al va pr'aria fagand vèdder el bragh arpzà, e ql'alter se ne scende a posare patriarcalmente fra la mamma che spera assicurato il grostino della vecchiaia e la figlia che sogna gli sfronzoli, non mai sperabili da quèl boletari!
E ne viene il cozzo della pasione di dire di lui, poverino, che ha la scufia sul serio; la ragaza che vorebe disfarsene con onore; la madre che stringendo i freni, e non sonecchiando più nelle lunghe serate invernali, la spera ed stufar èl ragazz.
Invece succede l'efetto all'incuntrari com è quèl ch' s'era mess el scarp all'arversa e che cherdand d'andar zò in canteina al s'truvò sù int èl granar.
Il mosconzino ronzante, eccita viepiù la pasione del fidanzato, che si sente pungere nello amor proprio, sicchè a quelle donne succede il fatto di una passareina ciappà con èl vesti che più si dibatte per scappar, più ci si apicica èl stèch ed granà con la mandleina ed pulèint.
— Ma quèsta la n'è megga gelosî, è un fondato timore di un rivale pericoloso.
— Lei dice bene, ma la gelosia, diciamo accosì, per la gelosia, non esiste, o la diventa una indisposizione fisica, — infatti quel vomo di cacao e zucchero, che strozò la misera consorte comme un'anadra, ebbe bisogno di una base: un mogighino, base debole, sisignori, tanto che una lavandara la poteva perdere, ma pure se non c'era quella pezuola, le insinovazioni del signor Jago, sbiòssi, sbiòssi non avrebbero ragiunto la catastrofe racapriciante, riprodotta in oleografia.
E sicom io mi servo spesso e volentieri dei tenori per dar forza alla filosofia di dire la cossa è accosì perchè è accosì, aggiungerò che quando Nemorino canta nella _Sonambula_: «Son geloso dell'avra che spira che ti scherza col crine e col velo». Non si tratta della gelosia ed cioccolata comme sopra, ma del desiderio di non voler molestato un oggetto caro, com fa quî ch' teinen el ciav dla porta dèinter int una burseina ed pèll, e che i porten i ghett perchè i stival non abbiano a soffrire il freddo.
Cè poi la gelosia che chiamerei: «Perchè la zèint en degga...» che è forse la più comune, certo la più noiosa.
Èl sgner Carlein è zò vgnò trèi volt int un mèis a fari visita: bisògna aluntanarel! Jusfein l'ha tolt a teater lo scanno vicino a noi; Pavolo lo abbiamo incontrato duve volte nello stesso sito — quelli che veddono diranno che cè la conivenza... e ridderanno alle mie spalle. Sono certo che lei non ci pensa; posso anche dire che a me comme me, non mi importerebbe niente... ma an voj che la zèint degga!... Sono mansueto comme un agnello, mo am indspiasrè ed crèsser!...
— E accosì, secondo lei, la gelosia assoluta?
— Non cè; si tratta sempre di un composto o di un derivato di altre debolezze umane; di invidia, quando si dice che si è gelosi del bene altrui; di govismo perchè non si vuvole neanche che il prossimo posi lo sguardo sull'ogeto del vostro cuvore; di ambizione di poter dire io solo qui regno; di seticismo perchè non si crede alla saldezza degli affetti ed alla onestà della dona...
La gelosia insomma, l'è una cossa di lusso, che serpeggia fra quelli che hanno del tempo da perdere e che fanno la psigolocia. Quant a s'è tirà int la sèiga tùtt èl dè, e che as va a cà stùff, a s'ha alter in mèint che vstirs da moro e guardar sòtta al lètt... tant più che dei fazzoletti non è accosì facile a trovarne... Quel giorno però che la pisunèinta mett la pùlsa int l'urèccia... vengono in mente i savi insegnamenti ed Sandròn. Èl mattarèl dalla spoja al dvèinta il protagonista... Ecco la sola, la vera gelosia, insegnata col sistema froebeliano...
Ma non ci pare che, acsè, as ciama assrar la stalla quand i bû j ein scappà?
— Sè, i bû sran scappà, mo a j è arstà la...
Tersuà a lòur sgnòuri.
Dal _Bologna che dorme_, 6 aprile 1899.