Èl sgner Pirein/Echi di carnevale

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Èl sgner Pirein/  (1920) 
by Antonio Fiacchi
Èl sgner Pirein

ECHI DI CARNEVALE[edit]

_Sgner Derettòur!_

Am pias ch'i disen: badate ai fatti suvoi, e nessuno v'infrangerà le devozioni! Eh, questo è un averbio scrett da uno che non aveva l'esperienza del mondo di dire che vi sono dei vomini nati a bella posta per dar noja a j alter, quasi si direbbe le pulci, scusino il paragone estivo, sissignore, le pulci della Società.

Se an tirava mo d' longh me, l'ultum dè ed carenval sòtta al pordgh dèl Pavajon, e se non inculcavo mo io al mî ragazzi ed badar lè, e di non guardare alle maschere ch'es passaven avsein, me an so chi l'avesse potuto far meglio.

Mo cossa giovva essere prudenti e rettilinei, quanto vi sono dei sfacciati che vi intralciano il camino, e che in s'arvisen brisa a loro stessi, dal mumèint ch'j ein in maschera?

Ma si venghi al motivo per cui ci scrivo, che è vergogna, perchè se la libera stampa non presta apoggio a un vero padre di famiglia tolt in gir da della gente che non si conosce, me a dmand e dicco dovve è andato a star di casa il principio che l'ha da èsser la fein dei giornali cittadini di sostenere i pacifici viandanti, quando si trovano nel frangente uguale al mio; ma car èl mî sgner Derettòur, mi condoni èl sfugh dettato dai nezz che tuttora sopporto con erovica rassegnazione, ma loro signori i prumetten dell'appoggio a tutti, e po quanto siam nell'ultimo vi lasciano andar per terra anch che si sia assiduvi lettori com a sòn me, il quale assalito dall'influenza di mascarutt, mi trovai abassato nel marmo del portico, per mancanza d'appoggio!

Èl duttòur al dis: non dovevate andare fra quei pazzarelli che si vogliono divertirsi alle spalle altrui; ma io a j arspònd che dal momento che uno paga la tassa di famiglia ha il deritto di menar a spasso la medesima, sia pure anche l'ultimo giorno di carnevale, sèinza avere molestie nè per sè, nè per le proprie figlie, che im li scantalufonn in una manira che c'era l'Ergia che poverina l'andava digand: babbo mi fanno la ghittole, non posso più dal riddere e tante alter coss in italiano.

Ma quèst l'è ov e zùccher, e se si fossero limitati sino a lì, meno male, as sa, si è di carnevale e anch'io a so compatir, so compiangere, lo sfogo della giovinezza, ma quant mi trovai circondato da sette o otto Turchi, che mi distaccano dal mî creatur, e cominciano a darum dei soffittoni sul ginnasio, e a strapparum vî la caparèlla, che a j aveva tgnò sòtta èl paltunzein che porto per la magione, un puctein lèis negli avambracci, e con degli intoppi di stoffa diversa, opera dla mî Lucrezia, che è una donna tutta di casa, ah quando mi si scoperchiano in tal mod i rapezzamenti di una famiglia che vuol sostenersi nel decoro esteriore, in mèzz a un Pavajòn, che scusi sgner Derettòur, se lui la prende in riddere bisògna ch'al sia un gran asen, e questo lo dicco perchè a so che non farà accosì, ma avrà delle parole biasimevoli per quei Turchi che misero in mostra _coram populo_, nel cuore del popolo, el mî miseri, rattopate dalla Lucrezia è vero, ma sempre umilianti.

Intant el mi ragazzi el j eren sparè; duve giovani con èl paltò all'erversa e un naso fittizio, se le erano prese sotto il braccio, e ci dicevano delle galanterie, e me intant protestavo e chiedevo comme di giostizia il rimborso dei danni, per vi 'd dèl ginnasi infranto e del tabarrino trascinato nel fango della terra. E siccome loro fingevano di non capire e seguitavano a riddere e a farum ballar per forza, io dissi che il suo agire era da gente senza contegno, che se l'avessero avuto quello era il sito da mostrarlo, perchè le persone... come va? non c'è male, grazie, si conoscono in maschera, anch quant non si conoscono! Uno dei mascarotti, forse un po' urtà dagli urti che riceveva, am cminzeppia a dir una mùccia, una catasta, di insolenze. Me credevo che scherzasse perchè la maschera tutta sorridente che lo ricopriva non dava dei segni di collera, e io dicevo: mo va là, sta zitto non dire bazurlonate... Ma lù per tùtta risposta al m'arriva un cazzott int èl stòmgh, che mi tolse il respiro e po un alter int la tèsta che mi fece schiamazzare per terra, e zò e zò che pareva una gradinata. Arrivarono le guardie e mi liberarono dal Turch, che fu costretto a cavars la maschera. Che s'immagini mo chi l'era?

Uno che non conosco, che mi dice: scusi l'avevo preso per un altro.

— Ma fiol mî, aggiungo io spazzandom, scopandomi il sangue che veniva giù con rispetto dal nas, per le botte sofferte; mo fiol mî, percossa torum in sbali, se me lo avessi detto prima si poteva risparmiare il conflitto.

Al fatto sta che ci toccò d'andar entrambi sù in questura per depòrr, me el bôtt che aveva avò, e il mio competitore la ragione incognita per cui me le aveva somministrate.

I ragazzù, gentilmente si condussero fenna in Palazz zigands drî, piangendoci dietro, _sabbion, sabbion_!

Esposte, trovatelle, al signor Delegato le proprie ragioni, si accordò la libertà, doppo avermi detto che un padre di famiglia l'ha da usar sèimper prudèinza e non insultare le persone che non si conoscono, e che il mascherotto era da compiangere se sentendosi punto, con delle parole, si era legittimamente difeso.

Lì giù dall'incordonà, che guida in questura, ci era il popolo che si attendeva, i _Fratelli Amato_[1] con el bandir, ed altri coi stendardi, e ci accolsero con una dimostrazione d'ucclà, chiamandomi per nome, chè ero già stato conosciuto e dicevano: Ehi! sgner Pirein, el sòu ragazzi el j ein alla birrarî dla Mort con dei giovenotti...

— A proposit, l'è vèira, mo il mio sangue...

— Al j è vgnò zò dal nas, con rispetto... arspundeva un mattazzol che mi stava didietro.

Intant quèl che mi aveva dato i pugni, al fa al dice: Se non disturbo, vengo anch'io alla birreria, così sigilliamo la pace con un mangino.

— Anzi, anzi, dicco io e andiamo là. Appènna dèinter, al cherdrel mo? Era vero che el mî dòu fioli erano attavolate comme se niente fosse con duve di quelli dal paltò all'erversa, col naso fittizio come sopra, che se ne bevevano allegramente.

Ah! allòura, lo confesso mi venne un gruppo alla gola e non potetti fare a meno di esclamare:

— Ingrati! mèinter voster pader è stato lì lì per scendere il patibolo, vualter av dà in preda, in pietra, alle gozzoviglie, con dei nasi ignoti?

Sti pover ragazzi, dietro a questa terribile mortificazione, tant più che si era nella birreria della Morte, mi corsero al collo e mi baciarono in più volte, talchè io dissi: basta, vi ho perdonate, e presentand èl Turch che si era tornato a mettere la maschera, a dess:

— Presento quel signore che mi ha preso in isbaglio.

Quî dai nas si allevarono in piedi e si mettemmo al tavolino. Rivolto al suddetto, a faz a degh:

— Cossa si prende?!

— Oh, se vi fossero gnocchi li gusterei, ho faticato un poco e mi sento appetito. Me invez aveva un dulòur al stòmgh per il pugno avuto.

— Vengano i gnocchi, e io a turrò, toglierò, un piccolo rhum! A j era lè po qui alter che avevano usato tante gentilezze al mî ragazzi, raccogliendole quant el staven pr'arstar orbi dèl pader, e che ci avevano dato da bere un bicchier di birra, dònca per indebitarmi con loro ci dissi: Essi gradirebbero qualche cosa? Perchè no, prenderessimo anche noi i gnocchi. Quel ragazzi ne facevano anch'esse la volontà, percui si disse: sei porzioni di gnocchi, e po veins l'arfrèdd, e po una zùcca ed Chianti... e di chifel per castigh. Tutti avevano buon appetito, grazia Dio!

Quèl dai pogn po al tirò zò a caruzzein dscvert, a crèdd che al magnass anch un pzol ed tavlein, anzi me per dir una barzelètta, a fazz: In Turchia si mangia bene a quel che pare; e lù al fa:

— Au, cinein, dsmettla bèin sùbit, se nò a t'in dagh di alter!!

Capii l'antifona, e abuzzò, ordinando un po' di anicione.

Endson vols mortificarum, offrendo il pagamento della propria parte, e io dovetti pagare per tutti. Fortuna che la figlia del padrone, mi conosce e mi fece credenza perchè non ne avevo abbastanza. Èl Turch volle anche dei zigari e l'andò vî mezz instizzè quasi sèinza salutarum, i giovenotti dai nas ed cartòn esibirono il braccio al mî tusètti e me am l'avvei con èl pover gennasi tùtt squizzà, ma quando siamo fuori a seint un impressiòn atmosferica, e mi accorgo allora della mancanza dla capparèla. A fazz a degh: Au ragazzoli andiamo mo lì dall'Archigenasio a vèdder se cè anche il mio tabarro.

L'Ergia, che l'è sètt cott e una bujida, la saltò sù: Mo an j è dùbbi papà, a quest'ora l'avranno già preso su. Difatti ci accolse, perchè an j era nient.

Oh! armettri po la capparèla l'è tropp, tant più che era serata umida e avevo pavura di prendermi delle affezioni romantiche.

Mo zò quant el coss el j han da èsser bisògna ch'el sien, perchè an aveva fatt 20 pass che a vèdd vgnir in zò èl Turch con un alter mascarott ch' l'aveva adoss un tabarr, ci guardo: êrel mo èl mî?!

Lo fermo e dicco: Scusi, quello che lì è mio.

— Ah l'è èl sô?! Me a l'ho cumprà da un ragazzol, a j ho dà 5 franch ch'al sra una mèzzòura.

— Tropp giosta, adesso non tengo le cinque lire, al vol dir che se dmatteina a passà in via tale, numero tale sarete rimborsato.

Èl Turch intant al s'in fumava sèinza dscòrrer; si vedde che si era offeso del mio procedere.

Però am tuccò d'andar a casa in bèla vetta e guadagnarum un ferdòur. Quant a fonn dalla porta, i giovenotti strinsero le mani al ragazzi e a me, e se ne andarono. A degh: Chi êni mo quî lè?

— Che dmanda, dis l'Ergia, se si volessero far conoscere non andrebbero in maschera!!

Sta risposta em zlò, non vi era modo di replicare. Andò a lètt, ma il giorno appresso non ci fu verso di rilevarsi, ero tutto un nizzo e bisognò chiamare il dottore che am fe far delle confricazioni colla solita arnica.

Più tard veins quèl da la capparèla, che ci dovetti dare 10 lire perchè, dsevel lù, a j era tuccà ed perder la giurnata a zercarum, non ricordandosi l'indirizzo, e finalmèint veins la lesta dla birrarî: 14 franc!!

Ah! va pur là, che il carnevale è una gran bella istituzione!!

Dall'_Ehi! ch'al scusa..._ del 21 febbraio 1883.

  1. Mascherata.