Èl sgner Pirein/Dies irae

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Èl sgner Pirein/  (1920) 
by Antonio Fiacchi
Èl sgner Pirein

DIES IRAE[edit]

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_Sgner Derettòur!_

Ah, che al vada pur là, ch'a sòn arrabè com è un can, non tanto contro quello che l'ha scritto, quanto con lui che lo ha stampato. Ma mi scusi bene, dov'è la ducazione di dire si insulta un collega, e io ci tengo il bordone?

Perchè se lui non lo stampava, la cossa poteva rimanere in famiglia, invez acsè me l'ha resa di pubblica ragione e lui ha avuto torto, perchè che io faccia quello che diceva la povesia è una bella bugia, che in ogni modo an s'in dscòrr brisa in un sonetto, fosse pure a rime obbligate. Ah! la mî Ergia ha altro da pensare adèss che alle acque del signor Coltelli, che è per quello che saranno di ferro, in causa che i proprietari sono del medesimo. Ah, povra ragazzola, se vedessero comme è diventata gialla, la fa cumpassiòn ai sass, com dseva quèl salghein.

Ed io non voglio digerire nient affatt l'insulto fattomi in testa al giornale, che an s'po gnanch dir un insulto gratuito perchè al còsta un sold. Ma cossa mi creddono perchè sono vecchio che an m'attrova anca me la cavallarî adoss di dire che se offendono il mio sangue io non sia pronto a spargerlo?

Sono paziente, ma se am suvramònta la mòsca al nas, a dvèint anca me una bistia come lòur sgnòuri quanto giustamente vengono presi dalla bile di dire mi hanno insultato e voglio la soddisfazione.

Ah, qualunque cossa ci mettessero in mezzo me ai saltarè per dsòura... me a voj arrivari d'cô, dseva quèl ch'andava sù int la tòrr!

Poche litanie, e all'armi, che io sono pronto. L'è trî dè che a j ho tolt fora la spada di quanto ero nella guardia tuccheina, e l'ho confricata sù int èl stiar che è diventata lucida e aguzza comme che ci avessi dato la pietra in taglio. A n'ho megga pora me, a j è la mî Lucrezia che dice che non mi riconosce più, a vedermi cossì pieno d'ergìa bellicosa, che tutto il giorno an fazz che eserzitarum còntra a un umarein che ho dipinto nella muraglia con del lustro da scarpe, e ci ho scritto sotto _avversario_ pr'en me sbagliar nel conflitto, e per mantener vivo èl sparazisum dell'odio e dell'avversione. E vèdder com a j acciap! A st'òura l'è tùtt sbusanà int'èl pètt che al par un sculadur, e dalla muraja ai salta vî di pzû ed stablidura, che ci si vedono le pietre che sembrano gli interiori del nemico.

Am sòn infurmà da delle persone pratiche, per fare le cosse in regola, e mi hanno detto che intant io studi bene la scherma col sistema che creddo meglio, e quanto sono in ordine che chieda la soddisfazione onoraria, per avere nel sonetto medesimo della una cossa che desideravo rimanesse fra noi — e po allòura ci tiro il guanto — anzi ci nacque un po' di tafferuglio fra i pedrini, perchè io misi sulla tavola una butteglia e di bicchir, questo si sa, ma anch il quesito se si poteva usare come guanto di sfida uno di quelli di filo di scozia, anch un poch ròtt nelle diverse estremità ditali. Chi dseva ed sè e chi dseva ed nò, e si finì per stabilire così, e finalmente la cossa la finè benone.

I pedrini che ho scelti io, che bisognava trovare degli vomini d'arum pratich di cose di guerra, j ein èl piantòn ed S. Ptroni, che poveretto al m'insgnò sùbit la ritirà in caso di sconfitta, e ql'alter l'è alla sua volta èl piantòn dla mî parocchia, che per il giorno dello scontro al m'ha prumess d'imperstarum la raviola con èl spnacc a salice torchino per intimorire l'avversario, e un zuvnein ch' sta lè dsòuvra si è esibito di darmi la sô visira di quanto andò nel corso l'ann passà, sebbene che al l'ava ardotta come copripiatto, mittandi un pomino che viene a riferire sulla punta del naso.

Ma quisti j ein assessori, dseva quèl sendich che presentava la giunta, perchè l'esenzial l'è quel di difendere a qualunque costo l'onore della famiglia e chiunque si faccia avanti, fosse anche èl sgner Dalpein[2] io ci tiro il guanto, sebbèin che lui non sappia cosa farsene, che li dà agli altri, poi ci mando i miei pedrini in fiacre, che siamo cossì d'accordo perchè ai dà fastidi a correr, e voglio che i patti siano che il primo che resta morto sia quello che ha torto, acsè io rimango in vitta perchè tutti dicono che ho ragione, anche il giury d'onore che a fe lè in casa con mî mujer e 'l mî ragazzi.

Dònca lù l'ha capè, sgner Derettòur, se l'avtore della povesia non si fa avanti, io la faccio con lui, ma in un modo o in un'altro voglio la soddisfazione d'andare sul terreno, che per lo più è sempre di nessuno dei duve, per far veddere che quella cossa di dire: borghesi, alla circostanza si sa essere militari, colla spada nel pugno alla difesa della verità e della giustizia.

All'armi! all'armi!

Dall'_Ehi! ch'al scusa..._, 4 agosto 1883.

  1. Questa lettera fu scritta in seguito alla pubblicazione nell'_Ehi ch'al scusa..._ del 28 luglio 1883, di un sonetto di _Rafbèl_ (Raffaele Belluzzi) in cui erano i versi seguenti: «_A Barbianèll èl_ sgner Pirein fa _èl sagn_ _All'Ergia innamu'à com'è una mâta_»
  2. Dalpini, negoziante in guanti.