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Èl sgner Pirein/Da un mstir a ql'alter

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DA UN MSTIR A QL'ALTER

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_Car èl mî sgner Derettòur..._


_Romma, dicembre._

Sono purtroppo a spasso... Per quello considerata la cossa dal per d' fora, diremo, non è micca da disprezzarsi, perchè non più tardi di ieri me ne andai al Pincio con un sole più bello che si poteva veddere, cossì che qualunque fossi in gavardina, non davo nell'occhio, ma la peggio era il per di dentro che, non mi vergogno a dirlo, e tanto per non sentir molto gli stimoli della gola, ho trovato il sistema che diviso il pane in tre parti, si giuocchiamo a briscola quel po' di superfluvo che sarebbe il companatico, non essendovene per tutti, e quello che vince mangia e gli altri duve stanno a veddere che si divertano una massa comme è natorale.

Del resto la mî Lucrezia, che viene comme me da una buvona famiglia, ci piace di salvare il decoro degli indumenti, e dice, con ragione, che gli interiori nessuno li vede; io però mi guardo bene di fermarmi di sera con la lus elettrica che mi percuota nella schiena perchè ho timore di trasparire e che si vedda èl mî pover stòmgh poco persuaso di quel nulla che ci vorrei sgabellare, per dire in classico, per nutrimento da galantvuomo.

Mo se l'essere a spasso da un lato, comme ho detto, fa bene alla salute, produce poi il danno delle scarpe che a dire la verità, purtroppo, hanno le suole con qualche bucanino nella pianta sicchè mi ci va dentro la polve... il quale sebbene sia polve d'eroi, comme dice Pavolo nella Francesca t'amo, fa però un brutto sentire, pegio poi quando, comme mi sucese ieri ci penetra qualche sasolino, che essendo in compagnia dovevo fare il disinvolto, e ogni volta che deponevo il piede in terra era uno spasimo; basta quando Dio volse, rimasi solo e potei estrare il proietile provando grande sollievo. Beati quelli che vanno a cavallo, a dseva, che almeno anch se j han el scarp ròtti non soffrono i tormenti dei sassolini, ma io purtrop, non ho neanche quel vantaggio che lì, e in questa circostanza sarebbe una vera providenza.

Non credda micca signor Derettore che io stia colle mani alla cintola, comme si suol dirsi, chè fra gli alter coss an la port brisa, la zengia. Mi sono andato a raccomandare da per tutto — sino in Vaticano, chè mi avevano detto che c'era morto uno di quelli ch' dan al tèil ed ragu alla Cappella del Papa, ma avevano già nominato il successore.

Avevo trovato un prenditore del lotto d'andarci il giovedì sera, che mi dava una mezza lira e un busslott ed sgadezza, ma sventuratamente capitò un signore che fece una giuocata di terni e quaderne per 14 lire e 75 centesimi e quando ebbe in mano i polizzini, mi disse che aveva lasciato la borsa dentro ai pantaloni per casa, e che li andava a prendere. Io natoralmente da persona educata risposi: mo ci pare! facci pure il suvo comodo!! Ma o che non ritrovasse la borsa, o che dimenticasse il numero della bottega, il fatto sta che, poveretto, non si vidde più e chissà che notte d'angustia avrà passato.

Il padrone natoralmente se la prese con me, perchè diceva che non si fa credito, e non solo non mi diede il mezzofranco pattovito, ma avrebbe avuto la bella pretesa che pagassi io l'importo, sì, con questi quattro? E sta a veddere che ci debbo stare davanti io se uno perde la borsa!

Per fortuna che non cè n'è venuto neppur uno per quel verso!!

E così appena dischiusa una onorifica carriera, il fato viene a troncarla miserabilmente.

L'altro giorno vedo fuori un avviso di concorso per posti d'allievo macchinista nella R. Marina e io, spunzecchiato anche dalla Ergia, che l'edea dell'ocevano ci piaceva per sentirsi, comme diceva lei, sdondolarsi in braccio ai tridoni, vado e l'impiegato mi dice: Si tratta di un suvo figlio?!

— Mo che figlio! Io non ne ho, e anche ne avessi non li slancerei in alto mare senza che avessero la vitta stagionata dall'esperienza!

Questo giovinotto si mise a riddere comme per prendermi in giro; per fortuna che lì vicino c'era un altro, una persona educata che mi disse:

— È dunque lei che vuole arolarsi?

— Sissignore, io Pietro Sbolenfi.

— E sta bene, ma bisogna che Lei si sottoponga alla visita medica e m'introdusse in una camera chiamando altri tre o quattro, tutte persone allegre, e mi ordinò di spoliarmi.

Fortuna che mi ero cambiato di camicia, la mattina, che anzi non avendone più delle mie, ne avevo una dell'Ergia racorgiata con apposite bastine sino alla misura ragionevole e ricamata a giorno nella orlatura superiore colle maniche a balanzino.

Le mie, per quanto le avessi date ad una lavanderia a _vapore_, ci metteva più tempo delle altre.

Benchè fosse freschino, mi spoliai proprio come un Adamo, se vogliamo, a scartamento ridotto, perchè sono piuttosto mingolino, e solo chiesi il permesso di tenere il ginasino per evitare di prendere il rafredore, il che mi fu accordato ad unanimità.

Intanto quello che disse d'essere il medico cominciò a picchiarmi con un certo vigore nelle costole, e a contare i paternoster della spina orsale, dicendo che pareva ne mancasse uno: io l'assicurai che non mi ricordavo d'averlo mai perduto, e si persuase.

Poi cominciò con di quei metri a cordella a misurarmi la grossezza e la lunghezza di tutte le membra umane trovandole ora troppo lunghe ora troppo corte; e dettando i numeri a uno che scriveva, comme fanno i sarti quando si fa un paltonzino nuovo, cossa che io mi ricordo in barlume.

Tutto era andato bene, quando sisignore che arrivato, con buon rispetto al piede sinistro, trova che l'anulare è piegato ad arco da ponte, e allora io pensai che è poi per quello che sotto ci passa l'acqua, quando entra nei bucanini, e quindi disse che non potevo essere ammesso.

Io ci feci notare che per stare in un bastimento...

— Nel bastimento sta bene, sogiunse lui, ma quando si va in terra?!

— Ah, credda signore, che se andassi in terra, troverei la forza di rialzarmi per il bene inseparabile... ma ad onta della mia eroica risposta, fui dichiarato inabile per anulare arcuato a schiena di giumento, e cossì eccomi chiusa da un dito la via ad una brillante carriera!

                  *       *       *       *       *

Avevo anche trovato d'andar a lèzzer i _Promessi_ _sposi_ a un vecchio signore russo, sòurd com è una zùcca e che non capiva una parola d'italiano.

Appènna che am vdeva al s' ficcava int un urèccia un coren che ci forniva sua moglie, e io ci dovevo urlar dentro un capitolo al dè.

Una di quelle fatiche da rimeterci un polmone, mentre poi l'amigh non se ne dava per inteso — e il peggio si era, che tanto lui che la suva signora che non stava mai lì, ma era sempre di là a studiar l'italiano con dei maestri sempre nuvovi e gioveni, non parlavano del molumento in una lira per capitolo, non compresa la peste, che essendo il più lungo, la signora disse che fava un conto a parte.

Finalmèint, spinto proprio dai bisogni più urgenti, finito il capitolo aggiungo del mio, dèinter int èl coren: «Monsù, escusez bien... mais arè besoin de bajochs».

Cossa volel vèdder, sgner Derettòur?! Se avess mess una brasa int l'urèccia a un sumar, non avrebbe fatto il salto che fece quel russo che lì, e poi mi cominciò a correre dietro per discendere a via di fatto, mentre nella suva lingua mi diceva di quelle insolenze che ci dicco la verità se non trovavo l'usio mi poteva accadere di peggio, però una mi colpì nella testa che giunto a casa dovetti meterci della carta cencia bagnà int l'acqua, ma la bergnocola ci venne e a purtò èl nezz premma zall e po ròss e po nèigher che mi disero poi che era la bandira rùssa.

Cossa dice mo lei che sia stato quel vago felomeno che lì, di quel vomo che ci aveva già pasato per le orecchie 10 capitoli del Manzoni, senza che dimostrasse di aver capito niente, e con quelle poche parole del mio, che ci si sviluppa quèl strazz d'ira da scacciarmi quasi a furore di popolo comme ci avessi detto più del suvo nomme?!

Natoralmente io non ci ho messo più piede e lui sarà là ad aspettare la peste, se! cinein, avrai un bel da ziffolare se l'aspetti da me! ed anche Lucrezia dice che ho ragione.


Dall'_È permesso?..._, 4 dicembre 1892 e 8 dicembre 1894.