Èl sgner Pirein/Amore moderno
AMORE MODERNO
[edit]Nel fondo la Fedora, non sarebbe micca cattiva, ma sono i nervi, puvreina, che la fanno soffrire.
Lui era uno studente, e non esendo pasato all'esame, diede dei pugni al profesore di genastica, che avendoli presi tutti senza restituirli, si capì che non aveva capito lo scopo della materia che insegnava ciovè il pogilato, e lo licenziarono, poveretto, quasi accusato d'apropriazione indebita.
Lî poverina faceva la grestaia, e leggeva le apendici. Naturalmente si inamorarono a un Politeama Rappini di Romma... e, si sa bene, ragazzi che non hanno pratica, vennero a star lì, senza ocuparsi delle formalità che noi, vecchi del mestiere, faciamo col dire poi: è contento di sposare, ecc. ecc.
Sulle prime, nualter, non essendo pratici di questo genere d'amore, as ciapaven pora, la Lucrezia spezialmèint che diceva: — Mo Pierino, che diavel fani? anca nù a sèin sta spus zuven, mo non abbiamo mai fatto tant diavleri!
— Eh! allora non usavano i nervi, o a j era sòul quèl dèl sgner pader, che vi arrivava nella schiena quand an s' zerlava brisa pr' èl drett.
Erano continue scorrerie; scrann ch' vulaven pr'aria; culp ed revolver; urel; gemiti; rantoli; e, doppo una specie di assopimento generale, si sentivano venir giù dalle scale: — Questa è vitta! la dseva lî, se tu mi avessi a tradire colla Tosca, io uccido te, lei e poi me.
E lui ci rispondeva: — Ma tu non sai i deliri dei sensi; la sugestione dello spirito; la psigolocia di questo fremito che si invade!!
E accosì parlando, lù al sugava èl sangv, ch'i fava un sgranfgnott sòtta a un occ, e lî zercava ed cruvers èl nas che cominciava a far l'iride pr'un pogn ricevuto nei momenti in cui l'afetto era al colmo!
Una sira, l'era d'inveren, a vad a cà e nella penombra della scala am par ed vèdder un'òmbra a seder sui gradini della sucesiva, che singhiozzava borbottando: — Sei un mostro! eppur t'adoro!!
Fatta l'abitudine alle tenebre, riconosco la Fedora. Si sa, quando si ha la stofa del gentilvomo, anche che sia lèisa, la si sente sempre e, faccio, dicco:
— Scusi bene, ha forse perduta la chiave? a star lì accosì si prenderà un raffredore... se vuvole profittare, il mio tetto è a suva disposizione...
— Ah signore, se sapesse... non mi vuvol aprire, perchè dice che sono venuta a casa troppo tardi...
— Oh, si sa, a fagh me, ci vuvol altro, alle volte manca la coincidenza del trabai: e poi sa, noi vomini, abbiamo dei momenti di cattivo umore; bisogna compatirci. Guardi io, se per caso ho le scarpe strette, divento una vipera senza saperlo...
— Caro signore, lei vuvol confortarmi... ma ho l'animo esasperato; il cuore gonfio; lo spirito affranto... i nervi in convulsione...
— Se vuvole, la Lucrezia ci farà la camomilla, venghi dentro...
— Quanta bontà! quanta gentilezza! E nel dire accosì, poverina, la si alza su e mi getta le braccia al collo, arstand inschè come la _lingua di Menelich_ quant a si soppia dèinter.
La Lucrezia che mi sentiva borbotare, la spalanca l'ùss, e non avezza ai tablò che adèss usano per chiudere i drami della vitta, la fa la dis: Vècc matt! Pèisa in cà sùbit!
— Mo Lucrezia, non vedi l'infelice che mi spenzola dal collo? Sùbit la camomella!!
Non avevo finito di pronunciare questa frase accosì calmante, che a seint trî, quater culp ed revolver e un forsenato che si precipitava dalle scale.
Lei, poverina, scossa da quel romore, scappa dèinter da no, e lui comincia naturalmente a darum di cazzut da cunfsiòn. La Lucrezia cerca di farmi scudo, mo lù al la ciapa per quel piccolo scodaino di capelli che ancora ci rimane e la getta per terra int èl premm sit. La Fedora, poverina, pratica della sitovazione, l'era andà a gattamion sòtta al lètt.
Quello che non fece quel vomo in casa nostra è impossibile descrivercelo. Ruppe parecchia cristaleria; al spudò int la faza a mî mujer... e quand l'avè tirà fôra pr' el gamb quella povera martire, e la vidde livida e contrafatta, si mise a gemere, dicendo:
— Perdonami Fedora... amor mio! mio angelo! mia vitta!!... E tutti duve seduti per terra con el gamb sòtta al lètt, e la bandinèla dla querta in tèsta, cominciarono a farsi tanti ziricocchini che, per non disturbarli, ci dovessimo ritirare, sino a che, facendoci un mondo di scuse, i saltonn fora tenendosi a braccetto, e ci abraciarono e baciarono senza distinzione di sesso, al punto che ci dovessimo dire: — Quando ci favoriscano fanno sempre un piacere.
*
Ma... comme sia stato, non lo so. Quel furibondo è scomparso, e Fedora fa una vitta più tranquilla; viene, ogni sera, un suvo zio, un vomo serio, che ha per la nipote tante premure, sicchè lei dice con la purtinara: — Eh, Palmira, non è meglio accosì? Meno pugni e più quattrini.
Ed ha ragione. Non sarà amore moderno... anzi sarà affetto antico, ma la cristaleria non sofre ed i nervi si limitano al puro necesario.
Tersuà a lòur sgnòuri.
Dal _Bologna che dorme_, 29 dicembre 1898.