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Èl sgner Pirein/A che giova la clovaca massima?!

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A CHE GIOVA LA CLOVACA MASSIMA?!

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_Romma, 22 ottobre 1899._

Sentino: dacchè sono al mondo, ne ho visti degli acquazzoni, che vien giù, comme si dice, a gatinelle, ma il diluvio della scorsa settimana qui a Romma, è rimasto indimenticabile; è proprio stato un diluvio universale perchè c'era anche l'arca... che veniva dalle rispettive fogne, comme ci spiegherò in seguito.

Io ero andato fuori per fare il chilo, doppo aver bevuto una tazetta di caffè surogato, comme ci dicono adesso, e sicome c'era un po' di nubiferio, la Lucrezia, sempre previdente, la fa la dis:

— Pierino, prendi bene l'ombrelo, non si puvò mai sapere! È un omberlina che mi capitò non so comme, di quella seta di cotone gloria, che si chiama accosì perchè quando ci si è sotto si vede il cielo comme il _gloria in excelsis_ di presèpi.

Io la presi, mai pensando che mi dovesse servire, perchè le nubi c'erano, ma accosì vagabonde che pareva impossibile si dovessero combinare fra di loro...

Mi aviai verso il Panteon, e intanto la luce si fava sempre più serale al punto che un capo scarico, che mi stava davanti, incontrando un amico, al fa al dis:

— Oh! buona sera!

El j eren el dis e mèzz, e si figurino quindi se non si fecero le grasse risate... io non potetti a meno di stringerci la mano esclamando:

— Felice lei che è un vomo di spirito!

Ma non avevo terminato la parola, che mi sento nella coppa una gòzza granda com è un scud, e po un'altra... e, in tèrra, il marciapiede era diventato in un momento che al pareva un leopard.

Allora ricorsi al pensiero gentile della mia Lucrezia... aprii cioè l'umberleina, che ad ogni gòzza ch'j arrivava adoss, non essendo ancora bussata, la dava un termlutein, e lasciava passare alcuni spruzzetti sulla faccia, com fava quèl barbir ed campagna, che non avendo il polverizzatore, al tuleva una bcunà d'acqua e, con molta arte, al la spudava in fazza all'avintòur.

Quel giovene di spirito intanto, al seguitava a diren ed quèlli da far redder un par ed scarp novi.

— Se piovesse del vino, non sarebbe meglio?! accidenti! è acqua che bagna, e simili barzelette.

Intant mi si era arotolato dietro, e siccome i goccioloni che servono d'esordio alle piovute ben organizzate, si erano convertiti in tanti cordoncini d'acqua fitti fitti che venivano diagonalmente sulle gambe per via dello stravento, accosi corsi anch'io, con molti altri, sotto il portico del Panteon, a quello che ci dicono il pronao, tanto per rendere dificili anche le cosse più facili.

E il matacchione pure, fu fra quelli che mi seguirono, tanto più che aveva dimenticato di prendere l'ombrello, un ombrello, comme mi diceva, di seta e l'ossario di balena e il manico d'avorio con un intaglio finissimo, rappresentante una battaglia navale.

— Per bacco! a fazz me, vada per la mia, che ha questa testa di cane, che cè saltato via un occhio, povera bestia, eppoi nell'assieme è uno straceto; però il suvo servizio lo fa.

E lui mi dice:

— Vede quelle finestre che là all'angolo della Maddalena, dovve cè quel vaso di prasegoli?

— Benissimo!

— Bene, quella è la mia casa. Se lei mi presta il suo ombrello per cinque minuti, io vado a prendere il mio, e accosì ci faccio veddere un capolavoro.

— Mo ben volentieri, ci dicco io, prendi pure io sono al coperto.

Lui mi ringrazia e via di corsa con la mî umberleina, che a vèdderla in man a un alter l'an me pareva più quèlla, avezzà com a j era a vèdderla sèimper per dsòtta. Forsi al pruvarè l'istèssa impressiòn èl Papa, se al s' dezidess a vgnir fora da S. Pir a vèdder la copola che da tant ann al va vdènd sòul da dsòtta insù.

Mentre correva, si voltava indietro a salutarmi ridendo... e intanto l'acquazone si era convertito in tale uno squinterno che, non so se loro siano pratici di Romma, ma che faccino conto che la fontana di Trevi e quella Pavolina del Gianicolo, el s' fossen vultà a gamb a l'aria.

In un momento le strade erano rimaste deserte, non si vedeva, fra la nebbia, che qualche carozela in cerca di naufraghi, traversare a guado la fiumana che scorreva iruvente, sbocando da ogni viotolo e venendo verso di noi, perchè, si sa che il Panteon rimane in una bassa.

Quelli che avevano l'ombrello e che sapevano l'idraulica di dire, fra dieci minuti l'acqua ci arriverà alle ginocchia, preferirono sfidare l'acqua di sopra, meno danosa di quella disoto, si diedero a saltare, e delle signorine si favano portare in braccio da dei vomini del mestiere, dietro equo compenso, sicchè mi pareva di asistere al rato delle Sabine...

Ma io che favo? Oltre a essere senza ombrello, avevo l'apuntamento con quel signore della battaglia navale, e non sarebbe stata da gentiluomo abbandonare il posto. La gente mi diceva:

— Venghi anche lei! Si copri il ginasino col fazzoleto, guardi che l'acqua crese, dovrà poi usire a nuvoto...

Ma io che so la ducazione li lasciavo dire e col soriso del martire del dovere aspettavo, sì, non lo nascondo, spinto ancora dalla curiosità di veddere un capolavoro.

D'altronde si capise che lui non poteva espore un ombrelo di quel genere, alle intemperie cittadine.

Mo l'acqua cherseva e l'amico non si vedeva! Era già giunta alla cavcèla... e la gente rifugiata sotto i portoni circostanti, mi urlava:

— Si salvi! si salvi!!

Le chiaviche rigurgitavano: invece di inghiottire, mandavano fuvori, si vede che avevano lo stomaco guasto!

Allora, ci dicco la verità, provai comme un senso di timore di dire: io grazie al cielo, non sono una clovaca, e se l'acqua mi vien dentro non la metto più fuvori!!

A trovarmi poi lì solo, a dar spettacolo, mi sentii mortificato; diedi un'ultima ochiata a via della Maddalena, per vèdder se vedevo la mî umbrèla; pensai all'angustia di quel disgraziato che forse stava smaniandosi fra le braccia della moglie che non lo voleva lasciare uscire comme Roberto nei _Duve Sergenti_, e levatomi il capellino che involtai in un giornale di scorta che porto sempre nella taschina interna del paletò, mesomi in testa il fazoleto, che era rimasto sopra al livello del mare, mi diedi a fendere le onde con le gambine che erano coperte di rigurgito sino alle genocchia.

Fu allora che capii come l'arca... entrasse nel diluvio!

Il momento fu terribile! La cittadinanza trepidante assisteva a questa specie di autosalvatagio... Qualche vocina di donna mi incoraggiava:

— Si facci animo!... Adagio che non si pianti nella fanghiglia.

E tanti altri saggi consigli...

Io sentivo che ero già fuvori dal pronao perchè la pioggia mi colpiva il fazzoleto che mi ero messo legato sotto alla gola comme le caje forosete; già il livello dell'acqua intorno a me era calato... quando la fatalità vuvole che non mi ricordi più che c'era il gradino del cancello, e patatrach che casco bocconi.

L'urto em fa scappar èl genasi, che si mette a galeggiare sulle onde... fortuna vuvole che i pompieri arrivati in quel momento per il salvatagio, mi sollevino e mi portino quasi in trionfo sino dall'obelisco fra le turbe degli astanti, ed io lieto da un lato, nel vedermi accosì ben voluto da tanta gente che non conoscevo, mi adoloravo dall'altro a veddere il mio capellino che si manteneva a gala dondolando sulle acque, comme succede delle sostanze untuvose, senza che potessi riabracciarlo...

La pioggia intanto cadeva con più garbo, e la gente si era afolata intorno a me che ero più bagnato d'un savuiard int una limunà, talchè il cuvoco della _Rosetta_ che era uscito a veddere lo spettacolo, moso a pietà del mio stato, mi ricoverò nella suva cucina. Io, nel seguirlo, diedi una ultima occhiata al mio capellino ch' l'era là che al prillava tònd su di un gorgo d'acqua che lo avrà assorbito, all'arversa d'un stupai int èl tirabussòn!

Quel buvon uomo mi mise vicino al fuvoco, e mi lasciò asciugare i pagni, anzi mi diede i burazi che poi servivano per i piatti, onde mi pulisi le gambine dalla melma.

Le pietanze cuocevano con un odore delizioso... io avevo già fatto il chilo... ma lui, natoralmente, non era il patrone... Quando mi sentii asiuto, andai via a testa nuda, si capisce, non pioveva più, e d'altronde crederanno che a vada lè a ql'altra porta!

Quand'arrivò a casa, la Lucrezia, al solit, andò sulle furie. Io la mattina dopo andai in via della Maddalena a zercar quello dalla battaglia navale, ma lo crederebbero?! non sono riuscito a trovarlo!

Vorrei vedere le pene di quel disgraziato che è costretto a tenere un ombrello non suvo!!

Tersuà a lòur sgnòuri.


Dal _Bologna che dorme_, 26 ottobre 1899.



ÈL SGNER PIREIN FILOSOF