Page:Labi 2009.djvu/72

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sanciva la loro femminile inferiorità. Su questo quadro si colloca anche il significato spregiativo di «mestieri da donna» quale prodotto del linguaggio degli economisti, dei datori di lavoro, dei filosofi, dei medici e di quant’altri ne hanno scritto sull’onda del pensiero positivista allora imperante, che si è protratto ben oltre l’Ottocento per quanto riguarda il mondo femminile;[24] in proposito è appena il caso di ricordare che l’attribuzione delle competenze era fatta sulla base di più o meno ipotetiche «propensioni naturali» delle donne, ma senza alcun riguardo per le conseguenze che tali lavori potevano provocare proprio su di loro.

È pure opportuno sottolineare, però, che la divisione del lavoro - e le teorie che avvaloravano pretese competenze femminili - aveva lo scopo di scoraggiare la partecipazione al mercato del lavoro delle istruite donne di condizione civile e di sottopagare quelle meno alfabetizzate dei ceti più umili: la differenza dei sessi diveniva così anche un artificio sociale funzionale ai fini economici. Tale situazione era la diretta conseguenza della volontà di imprenditori e Stato di risparmiare,[25] perché le lavoratrici essendo sottopagate riducevano il costo del lavoro, così come è assodato che le donne entravano in un’attività quando la stessa diventava economicamente meno interessante per l’uomo; se a tutto questo si aggiunge che la presenza femminile in un mestiere poteva significare la dequalificazione sociale dello stesso e quindi la dequalificazione sociale ed economica di chi lo esercitava, la svalutazione della lavoratrice risulta indis- cutibile. Ma, paradossalmente, l’ingresso massiccio della donna nel mondo del lavoro è stato dovuto proprio al suo convenientemente squalificato ruolo di lavoratrice, come dimostra la massa delle emigrate nelle industrie con- siderate unicamente quale manovalanza, protagonista di un sottoproletariato che oggi ci propone l’ennesimo costo pagato dalle donne in questo passato senza riguardi: forza lavoro bruta in fabbrica come già lo erano state in agri- coltura - dove sostituivano le bestie da soma - piuttosto che nelle miniere o nel facchinaggio.[26] Quali e quante patologie non ci sono pervenute di questa folla femminile dispersa nelle fabbriche europee?

Una nota a parte merita l’alpigiana migrante, un case work che enfatizza tutti gli aspetti negativi dei flussi, come ho avuto modo di rilevare nei miei studi, perché nei paesi alpini la mobilità femminile trovava particolare opposizione e il fenomeno era evidenziato dall’ambiente implosivo della montagna, favorevole più di altri al mantenimento degli antichi sistemi pur a fronte della congiuntura allora in atto. Il massimo della riprovazione si poteva cogliere nei confronti dell’emigrata di ritorno perché ritenuta non più in grado di sostenere

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Histoire des Alpes - Storia delle Alpi - Geschichte der Alpen 2009/14