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quanto possa un dialetto sotto la mano di persona vera­ mente colta e d'alto ingegno.

Eguaglia, e per alcuni rispetti supera ciascuno dei nominati e dei non nominati, Carlo Malinverni. Se altri ha mostrato che il natio dialetto può accostarsi all'epos, egli ha svelato come possa affrontare tutte le altezze e le delicatezze della lirica, con tutte le finezze della lin­gua, pure serbando intiera la naturale fisionomia dia­lettale, non lasciandola trascendere nella lingua.

Spesso è questo il difetto del Bacigalupo. Talora, quasi a vendicare le audacie delle espressioni plebee del Loritto e dell'Eneide questo squisito artista di tanti altri versi gentili, crede avere nobilitato il dialetto tra­sportandovi gli aggettivi della lingua che nessun geno­vese, parlando genovese, disse mai, come azzurro e si­mili.

Il Malinverni tenta tutte le vette e le profondità del pensiero e del sentimento senza uscire dal vocabolario di Prè e di Portoria. Egli pur così delicato nella forma, egli che è nel dialetto quell'artista raffinato che è nelle rime italiane, va immune dal difetto di fare della poesia italiana genovesizzata, dell'italiano con semplici caden­ze e uscite genovesi, difetto che amabilmente nell'Arte poetica rimprovera all'amico Rocchino, un altro autodi­datta, che se non potè raggiungere i primi (adire Corin­thum), seppe dedurre nella poesia genovese un'abbon­dante vena del suo cittadino Chiabrera.

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