ca. Quel suo perpetuo ottonario poltrone annoia. Ed egli stesso è un borghese anche un po' reazionario. Non è per lui che la nostra poesia vernacola possa gareg giare coi Belli, coi Porta, coi Brofferio, coi Meli.
Nè dovrebbe o sciö Reginn-a far dimenticare o sciö Tocca, prete Pedevilla, pieno di sentimento liberale quanto n'è alieno il Piaggio. Il Pedevilla giunse fino alla Colombiade, prolissa, se si vuole, come tutti i poemi, ma che ha pagine pregevolissime, che ha ottave così ben tornite, specie quelle che descrivono bellezze natu rali, da entrare in gara col Tasso e coll'Ariosto, e da dimostrare come questo vecchio dialetto di marinai e di montanari sia duttile sino a rispondere alle esigenze dell'epopea.
Pareva che i dialetti, lingue di breve respiro, non potessero esprimere se non cose giocose e tenui. Pareva il vernacolo un campo riservato all'umorismo e a scene ed affetti famigliari. Come altri altrove hanno sfatato il pregiudizio per altri dialetti; così Genova ha veduto portato il suo volgare ai più alti segni. Giambattista Vigo, il carbonaio autodidatta, ha tentato felicemente la traduzione dell'Inferno, rendendo nel più schietto genovese l'anima dantesca, spesso interpretando il poema sacro meglio degli interpreti di professione. Il Bacigalupo ha mostrato con le liriche, coi sonetti descrittivi, con le versioni dell'Eneide (inimitabile travestimento che lascia lungi il Lalli) e di Orazio intraducibile,
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