Èl sgner Pirein/Èl sgner Pirein/Prefazione

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Èl sgner Pirein/  (1920) 
by Antonio Fiacchi
Èl sgner Pirein

PREFAZIONE[edit]

E così fugge la vita, ora lieta, ora trista, lasciandosi dietro uno strascico di ricordi e di rimpianti tormentatori dell'età che declina. Così si riaffacciano alla mente le imagini dei morti che non vogliono esser dimenticati, degli amici caduti lungo la strada che par seminata di sepolcri come la Via Appia Antica.

E non è certo per la vanità dell'odiosissimo _io_ che ricordo l'ultima volta in cui vidi Antonio Fiacchi appunto sull'Appia Via, funeralmente silenziosa, in un grigio pomeriggio di ottobre, in faccia alla deserta maestà della campagna romana. Forse la desolata solitudine del luogo e la mestizia del giorno morente ci vincevano, opprimendoci con una vaga sensazione di malessere che spuntava i motti e ci faceva parlare sotto voce. Così, di quest'ultimo nostro colloquio, serbai e serbo un ricordo velato di tristezza, come se udissi ancora i corvi gracchiare tra le rovine.

E qualche cosa di triste era anche nella arguzia del Fiacchi, uomo di ingegno assai più alto di quello che la sua modestia lasciasse credere e che solo gli intendenti indovineranno sotto l'apparente facilità di queste pagine buttate giù come per svago negli intervalli tra le cure burocratiche, così ripugnanti alle cure dell'arte. Poichè è notevole come l'amaro dell'umorismo pervada e contagi spesso le opere degli stipendiati che si lasciarono tentare dal demonio delle lettere. Furono impiegati il grandissimo Porta, il Belli, il Zorutti e tanti altri che per avi ebbero il Berni, il Tassoni ed altrettanti illustri, costretti ai lavori forzati dello scrittoio e degli uffici. L'Ariosto reggeva un'umile podesteria in Garfagnana, il Rabelais fu correttore nella tipografia del Grifio e il Dickens era resocontista parlamentare quando esordiva coll'immortale Pickwick. Pare che l'arte di mascherare le miserie della vita sotto il lepore della forma sia il retaggio della famiglia di _Monsù Travet_!

Fatte le necessarie proporzioni, anche il Fiacchi fu di questi minuti _funzionari_ la cui opera, spesso dialettale, lascia per lo più la impressione salsa ed amara di una ingenuità disarmata contro gli assalti della mala fortuna attribuita a personaggi deboli, candidi e quasi deficienti, facile preda d'ogni più facile astuzia, vittime destinate del superiore imbecille, della moglie inacetita, del collega crudele o del primo raggiratore che capita. Tipi ferravilliani e pur veri, tipi che da Giovannin Bongée ad Oronzo E. Marginati ci passano accanto ogni giorno e che, appena esagerati dall'arte, ci muovono prima alla ilarità, poi alla compassione.

Ai tempi dei tempi, viveva in Bologna un giornaletto ebdomadario nel quale era in grande onore il dialetto e che perciò non usciva dalla cerchia delle mura cittadine e in dialetto si intitolava «_Ehi! ch'al scusa_...» formula garbata che si adopera per fermare qualcuno e parlargli. E garbato era il giornaletto che aveva per impresa — «_Colle persone usare modi gentili_» —, massima del Galateo. Non conosceva politica e non si mischiava nelle piccole contese municipali, ma si volgeva specialmente ad un pubblico simpatico di signorine e di signore cui tributava l'omaggio di sonetti lusinghieri e di allusioni urbanamente madrigaleggianti.

A questo giornaletto il Fiacchi recò fortuna colla creazione di un tipo comico — _Èl sgner Pirein Sbolenfi_ — incarnazione di un _petroniano_ antiquato, pesce fuor d'acqua nella vita moderna, alle prese col tenue bilancio famigliare e afflitto dalla moglie Lucrezia incresciosa e pettegola e dalla figlia Argia, già allieva delle Scuole Normali, sempre nubile, con pretese letterarie ed isterismi romantici che la condussero poi a non bella notorietà. Le risibili tribolazioni del povero uomo, esposte in lettere stravaganti ed infarcite di bizzarri idiotismi, ebbero in Bologna così allegra fortuna che in un lieto Carnevale fu eretto un villaggio di legno di cui fu acclamato Sindaco _èl Sgner Pirein_, sotto le spoglie dei povero orefice Magagnoli il quale fece discorsi, emanò regolamenti e mise fuori certi ameni manifesti che molti Sindaci del Regno dovrebbero invidiargli per lo spirito fine e l'acuto giudizio.

Ma il creatore del _Sgner Pirein_ era impiegato alle Poste e fu trasferito a Roma. Lasciò qui gli amici, il giornaletto, le piacevoli consuetudini ed ogni cosa più caramente diletta per andar lontano dalla sua materna Bologna a riassumere _pratiche_, ad evader note e a rivedere statistiche. Così la radice era strappata dal suolo nativo. Mandò parecchie lettere datate «_dalle rive del Colosseo_», ma ben presto il giornaletto sfiorì e morì ed anch'egli si spense quando la vita gli sarebbe stata più benigna e ridente.

I bolognesi però non hanno dimenticato ancora il loro _Sgner Pirein_ e ricordano la sua cara e buona imagine, tanto argutamente sincera, anche nella caricatura, così che ne vollero raccogliere alcune pagine calde ancora della festività antica, non per sforzarne il valore oltre quella misura che al Fiacchi piacque, ma come affettuoso e pietoso ricordo di un egregio uomo che in altre condizioni avrebbe senza dubbio prodotto di più e di meglio che un giocondo epistolario la cui vivace genialità male si può intendere da chi non vive all'ombra della torre degli Asinelli. Pietoso ufficio al quale attese con animo devoto il signor Oreste Trebbi, amico e collaboratore del Fiacchi nei giorni sereni in cui questi scherzi uscivano dalla facile vena di un umorista che non potè e forse non volle tentare le aspre vie che conducono alle cime. Pietoso omaggio di concittadini a chi tanto amò il suo nido natio e lumeggiò, sia pure con lo sarcasmo che nasconde la pietà, l'uggia dolorosa che incombe su quegli umili pei quali la rassegnazione è la sola ragione del vivere.

Sia leggiera la terra del sepolcro al povero Fiacchi e leggero il giudizio dei lettori per queste reliquie sue!

(1912)


L. STECCHETTI